istock-1166164823

Sulla croce l’umanità ha visto la gloria di Dio

Allora la gloria del Signore sarà rivelata, e tutti, allo stesso tempo, la vedranno; perché la bocca del Signore l’ha detto
Isaia 40, 5

Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre
Giovanni 1, 14

Il Prologo dell’evangelo di Giovanni è un inno che alla profondità teologica, e financo filosofica, unisce la vivacità di una rappresentazione pittorica che dalla Genesi a Gesù scorre davanti ai nostri occhi. Quando arriva al verso 14 la Parola che diventa carne e abita per un tempo tra noi piena di grazia e di verità, ci sembra di vederla con un volto, che non è quello sindonico e neppure delle raffigurazioni pittoriche o cinematografiche: è il volto dell’Emmanuele, del Dio con noi, è insieme colonna di fuoco e roveto ardente, il suono dolce e sommesso sentito da Elia, il ruah della creazione. L’impronunciabile, l’invisibile, l’inafferrabile che si fa nome da invocare, voce da ascoltare, corpo di cui poter stringere le mani, ungere i capelli, toccarne, increduli, il costato ferito. «Noi – ci ricorda l’evangelista – abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre». Dov’è, come è possibile se persino Mosè, il più grande tra i profeti, «si nascose la faccia perché aveva paura di guardare Dio» e quando chiese di vederne la gloria, ingiunse il divieto? «L’uomo non può vedere Dio e vivere» è suggellato nel libro dell’Esodo. È cambiato qualcosa da allora? Al verso 18 ci risponde Giovanni: «Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere». Dunque non Lui, ma la sua luce nel mondo. Non Lui, ma la sua misericordia che perdona, la sua grazia che salva, la sua potenza rinnovatrice di vita risanata, la sua giustizia che ripara e riconcilia. Ma è sulla Croce che l’umanità ha visto la gloria di Dio. Il punto culminante della sua parabola terrena quando trasformò il patibolo nel podio dove ha vinto non la sua, ma la nostra morte.