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Nagorno Karabakh, conflitto di lunga durata e ampi interessi

Ho letto non senza preoccupazione, nei giorni passati, le vicende inquietanti che riguardano il Nagorno Karabakh, enclave che ha la ventura di essere oggi abitata -laddove lo è- da soli armeni, pur avendo intorno terre azere. L’Azerbaigian lo circonda infatti quasi interamente. Si tratta di una terra montagnosa, con ampi tratti disabitati, con vecchi suggestivi cimiteri con le tipiche croci armene provate dal tempo.  Gli abitanti vivono soprattutto del lavoro agricolo, dissodano la terra, allevano animali.

I giovani?  Sono poco propensi a fare lunghi studi, percorsi disagevoli in vista di un lontano ipotetico futuro inserimento lavorativo: meglio, ci dicono, entrare nell’esercito, avere subito una paga. Poter guadagnare difendendo insieme la propria patria: una incredibile opportunità, secondo molti di coloro con cui abbiamo potuto parlare. Era il lontano 2013, ai primi d’autunno. Il paese ci era sembrato subito bello ma decisamente povero. Di una povertà percepibile. Fili di ferro erano presenti a tratti, a qualche metro da terra- ai nostri occhi, senza una ragione comprensibile: trappole per elicotteri nemici che dovessero accostarsi troppo, ci viene detto. Mentre avanziamo con un vecchio mezzo, in montagna, cavalli stanno, tranquilli, sulla strada. Anche sdraiati. Passiamo da Sushi: paese con case in rovina; quelle abitate, più funzionali, sono palazzoni popolari che avrebbero bisogno di interventi, con le pareti esterne scrostate, con balconcini protetti da pezzi di legno o da lamiere. Con buchi nelle facciate, risalenti alla guerra.

Noi stranieri privilegiati giungiamo nella capitale, Stefanakart, dove alloggiamo in un albergo a quattro stelle, con una bella terrazza, stanze grandi, luci al soffitto. I vetri delle finestre non si possono aprire. Le stanze sono gelide a causa dell’aria condizionata. Un albergo moderno, funzionale? Certo, di impronta sovietica, anche nella esistenza di un unico, piccolo ascensore. La città, capitale del Nagorno Karabakh, il primo settembre è piena di bambini che rientrano a scuola, in una atmosfera festosa. 

Il giorno dopo saliamo lungo una strada boscosa, ricca di alberi del pane, costeggiamo un ruscello con spumose cascatelle. In alto, l’antico monastero di S. Giovanni il Battista, del XIII secolo. Sembra vi siano preziose reliquie, tanto che si parla di una Montagna del tesoro. Questo, come l’Armenia, è un paese dichiaratamente cristiano.  Una caratteristica  che lo diversifica drasticamente dall’islamico Azerbaigian. Uno dei tanti motivi di contrasto. Non il solo.

Le radici cristiane sono riemerse con forza dopo l’implosione dell’Urss, che porta alla guerra nei primi anni ’90. Qui vi sono tracce evidenti dei bombardamenti che risalirebbero al dicembre del 1992: il fronte era a cinque chilometri. Come mai, la guerra di allora, le tante scaramucce prima e dopo,  i duri scontri di oggi? Sembra che in un lontano passato Stalin, allora commissario per il Caucaso, avesse fatto dono di queste terre all’Azerbaigian. Un fatto non incomprensibile, tenendo conto della geografia. Ma questo era sempre stato un paese abitato tanto da azeri quanto da armeni: che non apprezzano questa decisione. Inevitabili gli scontri.

Ci sono stati, sono esistiti anche tentativi di convivenza. Si sono avute fasi alterne. Certamente nei primi anni ’90 la guerra è coinvolgente, sanguinosa. Tutti sono messi a dura prova anche da un clima gelido, da un freddo impensabile: molti gli alberi abbattuti per avere legna da ardere, come testimoniano alcune montagne oggi brulle. La piccola Armenia tiene duro. La guerra allora sembra risolversi a suo favore. Si giunge a una tregua: ma l’Azerbaigian non firma l’atto di pace. Per anni si avranno così attentati, specialmente lungo il corridoio che consente l’ingresso e l’uscita dal Nagorno Karabakh. Terra azera, agli occhi dell’Azerbaigian, indebitamente sottratta dagli armeni. Terra armena, anche perché così hanno stabilito le votazioni, secondo gli armeni.  Dove l’armeno è la lingua ufficiale, dove il cristianesimo armeno è ben presente.

Oggi, il contrasto torna con forza. Ed è vero, ad esempio, che Sushi era un tempo, verso il 1920, per metà azero (turco), che gli azeri godevano il favore dell’Inghilterra. Che circa 40mila sono stati, allora, gli armeni uccisi. È vero che nel 1923 si è avuta una Regione autonoma. Poi, il ripopolamento da parte azera. Quando l’Urss giunge alla fine, qui gli azeri sono presenti con più armi e più denaro. Ma gli armeni sentono fortemente la causa.  Ancora oggi gli armeni sono relativamente pochi, con pochi mezzi, laddove l’Azerbaigian per anni ha potuto contare sul petrolio. Uno stato ricco e potente, di fronte a un paese con modeste risorse: ma gli armeni credono fortemente nella causa. La Russia, che in passato ha fornito armi anche a Baku, sostiene piuttosto l’Armenia. Entrambe, Turchia e Russia, hanno interessi ad allargare l’area di influenza, già presente oggi fin nel Mediterraneo.

Cosa ha fatto, cosa fa il gruppo di Minsk, esistente dal 1992, per la risoluzione di questo conflitto,religioso, sociale, politico e culturale? Forse la guerra dei nostri giorni sarà il fattore propulsivo per giungere, finalmente, a una risoluzione.

 

Foto di Clay Gilliland: monastero di Gandzasar, Nagorno-Karabakh