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Corridoi umanitari, due storie dall’Italia

Il percorso di inserimento in un nuovo Paese è costellato di ostacoli e richiede un’immensa forza d’animo e impegno costante. Per questo siamo felici di condividere le storia di due famiglie siriane, giunte in Italia tramite i Corridoi Umanitari. Vogliano raccontare le loro storie perché questi sono i successi che danno la forza di andare avanti e lottare contro le mille difficoltà che minacciano di oscurare il nostro orizzonte. E invece oggi ci ricordiamo che siamo dal lato giusto, che non bisogna fermarsi mai finché i corridoi umanitari non saranno più una necessità.

Padova: la storia di Osama e Suhaila

Quando Osama si trovava in Libano, dove era rifugiato con la propria famiglia dalla Siria, aveva un appuntamento fisso: andare all’ospedale di Beirut per curare tre dei suoi cinque figli malati di talassemia. La talassemia, conosciuta anche come anemia mediterranea, è una malattia dovuta alla presenza di difetti nei geni dell’emoglobina, a livello del DNA. L’unico modo per contrarla è ereditare uno o più geni difettosi dai propri genitori. L’anemia mediterranea è quindi una malattia ereditaria, trasmessa quando entrambi i genitori sono portatori del difetto (e peraltro completamente sani, per questo si definiscono “portatori sani”). Oggi è possibile fare una diagnosi prenatale precoce per scoprire se il feto è affetto da anemia mediterranea con un semplice test chiamato Celocentesi. La talassemia perciò è una malattia che conosciamo bene, ma che – se non curata – può diventare molto pericolosa. Curarla non è facile, ma si può. Il problema è che non si può in tutte le parti del mondo: perciò in Libano Osama va incontro a lunghe liste d’attesa che non si sa quando finiscono.

Durante una delle sue numerose visite in ospedale, Osama incontra il dottor Luciano, come lui lo chiama, che si interessa alla situazione del giovane rifugiato e gli consiglia di andare all’ufficio di Mediterranean Hope a Beirut così da conoscere un po’ meglio il progetto dei Corridoi Umanitari e valutare la possibilità di fare domanda per partecipare. Qul giovane rifugiato non ha nessun dubbio: la soluzione migliore è andare in Italia con la propria famiglia. Osama era in Libano ormai da vent’anni, ma ancora una volta decide di spostarsi e il motivo è semplice: quando è stato messo in contatto con l’ospedale di Padova gli hanno spiegato che la malattia dei suoi figli si può curare. Con un processo lungo, non facile, ma si può curare.

Osama e famiglia non hanno nessuna paura del viaggio perché sanno bene com’è la vita in Libano e sono certi che in Italia, un Paese che non conoscono, può solo essere meglio. Inoltre Osama sente forte la responsabilità della propria famiglia ed è pronto a fare quello che serve per il benessere dei propri figli e della la propria moglie Suhaila. Compreso cambiare continente.

La famiglia arriva in Italia nel luglio 2017 e Osama non perde tempo: lavora facendo tutto quello che capita. Fa il magazziniere e l’aiuto cuoco, spostandosi per lavorare da Padova a Venezia. Infine trova un impiego come meccanico, un lavoro per il quale ha più di vent’anni di esperienza come meccanico.

Il passo successivo è quello della casa ma, come spiega Osama: «Nessuno affitta una casa per sei-sette persone, a meno che non spendi tantissimo. Ma con 700 o 800 euro al mese per il solo affitto diventa difficile avere soldi anche per mangiare. Così si è creata una rete di conoscenze che ci hanno aiutato tanto a cercare la giusta casa e la giusta soluzione, che era quella di comprarla. Noi abbiamo pagato un anticipo, poi abbiamo acceso un mutuo».

Adesso Osama e famiglia vivono nella loro casa, che hanno acquistato: «Mi sento diverso a 360 gradi da quando sono arrivato, non solo un po’ diverso. Siamo arrivati pieni di malattia, pieni di stress, scappati dalla guerra e con tante persone a cui badare e fare tutto il possibile per nascondere le difficoltà alla famiglia. All’inizio era una situazione pensatissima, poi, pensate, adesso siamo dentro una società, perché da soli non si può fare nulla, serve un ponte. Abbiamo trovato un altro modo di vivere». E quando gli chiedi se anche la famiglia sta bene in Italia, lontano dalla Siria e dal Libano, Osama per prima cosa ride: «Anche in famiglia sono contenti, soprattutto perché ora – con la casa – vanno a scuola e giocano in giardino. La malattia non li preoccupa più, perché sono curati o hanno la prospettiva di essere curati. La malattia non è più la cosa più importante del loro futuro, ma possono fare altro, il loro futuro non è solo ospedale. È tutto il resto, con anche un po’ di ospedale, che non è più la cosa principale. Siamo riusciti a fare qualcosa per loro». Non è stata la prima volta che Osama e i suoi hanno cambiato vita, ma adesso la strada sembra in discesa.

Milano: la storia di George e Kenda

George e Kenda sono arrivati in Italia con la loro bambina di nome Perla nel marzo del 2017. Nello stesso anno li hanno raggiunti anche i genitori, la sorella e la nipote di George. L’uomo – che in Siria era un orafo – a Milano ha saputo reinventarsi come cuoco in un ristorante libanese. Dover lasciare la sua professione gli ha provocato qualche dispiacere, ma allo stesso tempo il nuovo lavoro gli ha restituito la dignità di chi mantiene la propria famiglia. Kenda nel frattempo si è impegnata a fondo per imparare l’italiano e ha dimostrato indubbie capacità, tanto da essere considerata il riferimento linguistico per l’intera famiglia. Anche la figlia Perla si è adattata nel nuovo contesto, grazie anche al ruolo fondamentale della scuola e all’incredibile resilienza che hanno i bambini. Poi, nell’agosto 2018 – durante l’accoglienza – è nata anche la piccola Gioia. Forse è il simbolo del vero inizio di una nuova vita. Dopo la nascita della sua seconda figlia, Kenda ha deciso – con il supporto della propria famiglia – di rimettersi in gioco anche sul piano professionale. Grazie ad una borsa di studio della Fondazione Isacchi-Samaja di Milano, la donna ha ottenuto la qualifica di Ausiliare socio-assistenziale.

È così che, alla scadenza del loro progetto, la famiglia siriana ha avuto la possibilità di restare per altri nove mesi nella casa che li aveva ospitati durante l’accoglienza: George infatti si è reso disponibile a pagare l’intero affitto della casa. Erano passati poco più di due anni dall’arrivo in Italia e la loro era già diventata una storia di autonomia. Poi, a giugno del 2020, la famiglia di George e Kenda ha trovato una casa in affitto con riscatto in un comune della provincia di Milano; grazie ai loro risparmi e all’aiuto della Diaconia Valdese sono riusciti ad aprire un mutuo per acquistarla. Così hanno lasciato il progetto di accoglienza per iniziare una nuova vita in Italia in maniera autonoma e indipendente.

Lo spirito di adattamento al nuovo contesto e l’impegno costante, la presenza di punti di riferimento all’interno della famiglia “allargata”, la capacità di sviluppare una rete amicale e il supporto costante dell’equipe del progetto di accoglienza sono stati gli ingredienti che hanno contribuito a fare della vicenda di George e Kenda una storia a lieto fine.