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Misure barriera e prevenzione in Africa contro il Covid-19

Anche gli ospedali del progetto Solidarité Santé della Cevaa, in vari stati africani, si preparano a fronteggiare l’emergenza della diffusione del virus Sars-Cov-2. La pandemia di coronavirus mobilita tutte le strutture sanitarie, sia quelle pubbliche che quelle private, grandi e piccole. Gli ospedali sono impegnati nella lotta contro la diffusione e gli effetti del virus. Grande impegno viene profuso nell’ambito della sensibilizzazione: un lavoro indispensabile che permette un cambiamento nelle abitudini delle persone.

Ne parliamo con la dottoressa Mathilde Andet Guidimti, responsabile del progetto Solidarité Santé per la Cevaa.

Come si organizzano gli ospedali del progetto Solidarité Santé per fronteggiare il contagio da Covid-19?

«Le nostre strutture ospedaliere si trovano negli stati dell’Africa dell’Ovest, centrale e dell’Est: in Costa d’Avorio, Ghana, Bénin, Togo, Cameroun, Lesotho, Zambia, Rwanda.
In generale si sta lavorando sulla sensibilizzazione, invitando i malati che si recano negli ospedali e tutte le persone a rispettare quelli che abbiamo chiamato i “gesti barriera”: non stringersi le mani, evitare gli abbracci e i baci, rimanere a distanza di sicurezza… Oltre a queste raccomandazioni, anche da noi l’invito è quello di rimanere a casa, se non ci sono esigenze particolari. I nostri ospedali, come tutte le altre strutture sanitarie, si preparano all’arrivo del virus Covid-19, riprendendo e rilanciando questo discorso della prevenzione e ponendo il discorso igienico al primo piano: si igienizzano i locali e le sale degli ospedali, gli strumenti di lavoro e vengono utilizzati indumenti barriera come maschere, camici, protezioni. La preparazione dell’ospedale passa attraverso la formazione del personale, dei medici e infermieri. Viene insegnato alla popolazione come indossare nel modo corretto le mascherine e un accento importante è posto sul lavaggio igienico delle mani: lavarsi le mani più volte durante la giornata, con acqua e sapone, fregando bene anche per due o tre minuti consecutivi, e poi risciacquare sotto l’acqua corrente. Questo deve diventare un cambiamento nel comportamento e nella mentalità di ognuno e ognuna di noi».

La situazione è estremamente mutevole, anche in Africa.
«Per ora non sono ancora segnalati così tanti pazienti affetti da Covid-19, ma gli ospedali si preparano, nel caso in cui ci fosse un aumento dei contagi. Come accoglierli, come gestire la situazione, dove trasferirli… La situazione è molto diversa da Stato a Stato: ci sono luoghi dove il virus non è quasi presente, qualcuno è stato segnalato in Costa d’Avorio. In generale si nota come il virus si diffonda soprattutto nei grandi agglomerati urbani, i nostri ospedali si trovano in zone suburbane».

Qual’è la preoccupazione maggiore?
«Il comparto tecnico. Purtroppo qui in Africa non abbiamo materiale a sufficienza nei settori di rianimazione, non ci molti respiratori, il settore tecnico è certamente la nostra grande preoccupazione».

Cosa fanno le chiese in questo momento?
«Supportano il discorso della prevenzione: i cappellani informano e sensibilizzano su queste misure barriera, ribadiscono l’importanza dell’igiene personale, del rispetto delle regole, invitando le persone a proteggersi prima che Dio le protegga».

Nella foto, a sinistra: Mathilde Andet Guidimti