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Raffaele Masto. Una vita dedicata a raccontare l’Africa

Imparare e ridere. Nello stesso posto, la redazione di Radio Popolare, con la stessa persona: Raffaele Masto. 

È successo per una trentina d’anni, sabato e domenica compresi. Imparare davvero. Raffaele era un profondo conoscitore dell’Africa, sapeva leggere le grandi crisi del continente con acume, capendo da dove nascevano, provando a sbrogliare la matassa delle antipatie, degli interessi contrapposti, a volte eredità del post-colonialismo, ancora più spesso effetto del liberismo che scarica le tensioni proprio lì, nel paradiso delle materie prime e della manodopera a basso prezzo.

Sapeva perché leggeva, viaggiava, incontrava, come ogni giornalista dovrebbe fare. Privilegiava gli intellettuali e i pensatori africani a quelli occidentali, si appoggiava alla rete imprescindibile dei missionari e delle Ong, conoscitori dell’Africa vera. 

Era una miniera di aneddoti, spesso buffi, alcuni irripetibili, tutti veri, tra aerei traballanti e cibi piccanti, strade sbagliate e registratori senza batterie. Ma non faceva sconti a nessuno: chiamava dittatori africani i dittatori africani, accusava le Ong colluse di essere colluse.

E poi, come detto, Raffaele Masto faceva ridere. 

Non ha mai chiamato nessuno con il suo vero nome, li storpiava in modo così brillante che alla fine quei nomignoli rimanevano attaccati a ciascuno di noi. Aveva una sorta di paradossale disturbo bipolare: la sua scrivania era sempre linda ma a volte si dimenticava di indossare le scarpe; della sua furia ordinatrice ha fatto le spese – questo è il nostro sospetto ma lui negava – la preziosissima agenda di redazione (quando non c’erano ancora i computer) finita forse nella spazzatura insieme ai quotidiani del giorno prima. 

Anche la sua fine è stata simbolica. Si trovava da mesi in una situazione precaria per un problema cardiaco molto serio, era riuscito a superarla, ma poi è arrivato il coronavirus che gli ha dato il colpo di grazia. 

Dovete sapere che prima di fare il giornalista a tempo pieno aveva lavorato all’Istituto dei Tumori di Milano, nell’epoca d’oro del professor Veronesi. Lavorava nella biblioteca dell’Istituto e gli era rimasta la passione delle letture scientifiche, il gusto di scoprire i legami tra la medicina e la società. Alcuni anni fa, invitato al Festival dei Diritti Umani, gli chiedemmo su cosa dovevamo concentrare la nostra attenzione e lui rispose: «Il welfare state. Solo se funziona, se si è uguali davanti alla malattia, ci sono i diritti umani». 

Ripensare alle parole di Raffaele Masto, ora che il coronavirus ha messo in ginocchio la sanità pubblica smantellata da anni di tagli, sembra quasi una profezia. Invece, si chiama giornalismo. 

Un abbraccio a Giselle.

* Danilo De Biasio è il direttore del Festival dei diritti umani ed è stato direttore di Radio Popolare network. L’articolo è stato pubblicato su Articolo21.org