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Coronavirus e legge. «La Costituzione, il nostro più grande anticorpo»

Sono tante le libertà  che vengono a mancare, nei giorni della pandemia del coronavirus. E’ giusto o sbagliato che ciò avvenga, in democrazia? E cosa ci dobbiamo aspettare?

Ne abbiamo parlato con Ilaria Valenzi, avvocata, consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), ha conseguito un dottorato di ricerca in autonomia individuale e autonomia collettiva.

In un articolo pubblicato ieri l’altro su Avvenire, a firma di Marco Olivetti, si evoca il ruolo del dictator, che, in epoca romana, in situazione di pericolo per la Repubblica, sostituiva i consoli. Abbiamo qualcosa da temere?

La prima riflessione che mi sento di fare è che dobbiamo in questa fase più che mai usare le parole in modo corretto e preciso. Spesso, in maniera forse anche un po’ approssimativa, si utilizzano termini in modo esclusivamente divulgativo, e così perdono parte della loro potenza.  Espressioni come “dictator” o lo “stato di eccezione”, così come è stato citato pochi giorni fa da Giorgio Agamben (in un editoriale del filosofo su Il manifesto, del 26 febbraio scorso, intitolato appunto “Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata”, ndr), vanno spiegate molto bene. Perchè secondo i filosofi del diritto il contrario dello stato di diritto, lo stato di eccezione, è quello retto da una figura totalitaria che fa in buona sostanza tutto ciò che vuole. Carl Schmitt, filosofo del diritto e dello Stato, vede realizzato lo stato d’eccezione nel Terzo Reich.

Dunque questo non ha attualmente alcuna corrispondenza con la realtà. Noi non siamo in uno stato di eccezione ma in uno stato di emergenza: uno stato che viene dichiarato con un decreto legge che determina una serie di procedure per la tutela generalizzata della popolazione, come ad esempio lo sforzo e l’uso più ampio della Protezione civile. Si tratta di un tipo di situazione che permette una compressione delle libertà ma non la loro sospensione, ciò vuol dire che i nostri diritti – ancorché compressi – sono tutelati. Siamo e restiamo uno Stato di diritto.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha emanato diversi decreti (DPCM), fino all’ultimo di ieri sera, 11 marzo. Quali sono le specifiche dei vari strumenti giuridici messi in campo fino ad ora?

In primis Conte ha emanato un decreto particolare, un decreto-legge, il numero 6 del 23 febbraio scorso, che è uno strumento di legislazione di emergenza e d’urgenza previsto dalla nostra Costituzione, all’articolo 77, che consente, in casi straordinari, che la funzione legislativa non venga attivata dal parlamento ma dal potere esecutivo.

Nella nostra storia la decretazione d’urgenza non è una rarità, c’è stato ad esempio un picco altissimo di misure di questo tipo negli anni di piombo, ed è poi rimasta sempre nella cultura giuridica di questo paese.

La forza del decreto-legge è che, dopo 60 giorni, se non convertito in legge, non ha più valore di legge, il che significa che se non c’è un passaggio in parlamento non si tramuta in legge.

Dunque con il decreto-legge numero 6 del 2020 il governo ha dichiarato la costruzione generale di dichiarazione dello stato d’emergenza, e ha rimandato le modalità applicative e la sua attuazione specifica ai decreti successivi del Presidente del Consiglio – i DPCM – che non sono norme di legge “alta” ma norme di legge amministrativa.

C’è poi tutta la partita dell’autocertificazione. 

I DPCM non hanno un potere “totale”, il governo ha cercato quindi di declinarne ulteriormente le misure, all’interno della cornice degli strumenti a disposizione. Ed ecco quindi il ricorso a uno strumento già  molto diffuso in Italia che è l’autocertificazione, cioè la certificazione che ogni cittadino può compilare autonomamente, in cui dichiara di essere in una determinata condizione di necessità , per potersi muovere ad esempio da una parte all’altra della città in cui vive. Se l’autocertificazione non è veritiera, scatta la sanzione. Quindi il diritto alla mobilità, ad esempio, non è negato ma è garantito nei limiti nel DPCM.

Chiaramente c’è un problema del potere di repressione – di come viene esercitato -, che si pone sempre all’attenzione del diritto. Ma la ratio è che la salute pubblica è un bene che pesa di più di altri beni costituzionali. Il diritto funziona così: la sanzione ha in questo caso una funzione di garanzia di diritti per tutti.

Il paragone con quanto fatto a Wuhan è possibile, considerate le differenze tra l’Italia e il sistema politico della Repubblica Popolare Cinese?

Dobbiamo ricordare che noi viviamo in uno Stato di diritto, uno Stato democratico: nonostante le compressioni dei diritti, noi abbiamo piene tutele. Gli strumenti di esercizio del diritto sono diversissimi, tra una democrazia e uno Stato totalitario: noi abbiamo l’autocertificazione, in un regime c’è il controllo. In Italia possiamo valutare ciò che è giusto e sbagliato, c’è un controllo a posteriori, non preventivo.

Vedremo nei prossimi giorni quali saranno gli effetti delle sanzioni, ma pensiamo sempre a ciò che accade in altri sistemi penali, molto più duri.

E ricordiamo anche che le norme che sono state attuate rispettano già  il sistema penale, perchè non è possibile creare norme penali senza un coinvolgimento del parlamento, e quindi sottolineo che le sanzioni rientrano in norme già previste dal Codice Penale, come ad esempio l’articolo 650 sull’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità.

Superata l’emergenza, come ne uscirà lo Stato di diritto?

Concordo con chi chiede che al termine di questo periodo di crisi vi sia una commissione di valutazione dei provvedimenti emanati. Ritengo anche che alcuni risvolti della crisi andranno assolutamente affrontati, come l’utilizzo dei big data e il rispetto della privacy legata in particolare ai dati sanitari raccolti in questi mesi.

Ma credo che tutto sommato l’esercizio del bilanciamento tra i diritti costituzionali siamo in grado di farlo, non ho timori per lo Stato di diritto. Abbiamo un grosso anticorpo: è la nostra Costituzione.

Tratto da Nev – Notizie Evangeliche