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Il femminicidio non è «una tragedia familiare»

Sei donne morte in soli 5 giorni. E ieri Anna Marochkina, 32 anni, è stata uccisa dal marito a Piossasco (To). Tuttavia, i media italiani ancora, e troppo spesso, archiviano questi assassini come «tragedie familiari», «raptus di gelosia» o «tragedie d’amore». 

La realtà dice che la cronaca ci informa dell’assassinio di una donna ogni tre giorni. 

Il femminicidio, l’espressione corretta da utilizzare, è «l’uccisione diretta o provocata; l’eliminazione fisica o l’annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale».

Per aiutare l’informazione italiana a trattare correttamente la piaga sociale e umana del femminicidio e ad affrontare con il corretto uso delle parole la questione di genere nella sua complessità e profondità è nata la rete GiUliA – giornaliste Unite Libere Autonome. Da loro, e insieme alle associazioni di categoria, è sorto il Manifesto di Venezia.  

Il Manifesto delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’Informazione è stato presentato a Venezia il 25 novembre del 2017, in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

«Noi, giornaliste e giornalisti firmatari del Manifesto di Venezia – afferma il documento – ci impegniamo per un’informazione attenta, corretta e consapevole del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali e giuridiche. La descrizione della realtà nel suo complesso, al di fuori di stereotipi e pregiudizi, è il primo passo per un profondo cambiamento culturale della società e per il raggiungimento di una reale parità». 

Il rispetto della deontologia, dunque, prima di tutto. E un secco «no», al sensazionalismo e a cronache morbose; a divulgare i dettagli della violenza, all’uso di termini fuorvianti come: «amore», «raptus», «gelosia», per crimini dettati dalla volontà di possesso e di annientamento. 

E ancora, un deciso «no» alle strumentalizzazioni con la distinzione di «violenze di serie A e di serie B», tra chi sia la vittima è chi il carnefice.

Per fornire strumenti adeguati, oltre al Manifesto di Venezia, le colleghe di GiUliA hanno dato alle stampe pubblicazioni molto utili. Le segnaliamo.

Donne, grammatica e media – suggerimenti per l’uso dell’italiano, a cura di Maria Teresa Manuelli con il contributo di Cecilia Robustelli e la prefazione della presidente onoraria dell’Accademia della Crusca Nicoletta Maraschio (attualmente esaurita). Pamphlet, realizzato per colmare una lacuna dell’informazione. Una guida di facile consultazione, indirizzata soprattutto alle giornaliste e al mondo dei media, affinché l’informazione riconosca e rispetti le differenze di genere, a partire da un uso corretto del linguaggio. Nicoletta Maraschio, presidente onoraria dell’Accademia della Crusca nella prefazione scrive: «C’è un settore dell’italiano contemporaneo che merita un’attenzione speciale, come una lingua possa cambiare sotto la spinta di significative trasformazioni sociali e culturali». In premessa, Alessandra Mancuso, responsabile di GiULiA, ricorda che sono passati quasi trent’anni dalle «Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana»di Alma Sabatini e che il giornalismo, ovviamente con eccezioni, continua prevalentemente a definire al maschile tanti ruoli apicali ricoperti da donne che «hanno fatto carriera». 

Al centro di questo manuale la parte dedicata alle «donne nei media» e un’intervista sul tema a Sergio Lepri, direttore dell’Ansa per oltre trent’anni, ed ex docente di Linguaggio dell’informazione e tecniche di scrittura all’Università Luiss di Roma.

Stop violenza: le parole per dirlo a cura di Silvia Garambois e con il contributo di Graziella PriullaElisa Giomi e Luisa Betti Dakli, ricorda che «Scrivere di violenza, e di violenza sulle donne, è sempre molto delicato: il rischio di utilizzare stereotipi, di raccontare i fatti “dalla parte di lui”, di giudicare la donna che ha subito violenza per i suoi comportamenti, per la sua storia, per il suo abbigliamento possono condannarla ad una seconda violenza, quella dei media». 

Stereotipi – donne nei media, a cura di Marina Cosi, presenta i contributi di: Monia AzzaliniGuido BesanaStefania CavagnoliMara CinqueplamiFrancesca DragottoCamilla Gaiaschi, Luigi GariglioGiovanna PezzuoliPaola RizziMaria Silvia SacchiLuisella Seveso

«Se anche gli algoritmi sono sessisti, come dimostrato, se i libri di testo per le scuole elementari sono zeppi di mamme che stirano e di babbi che trapanano; se le donne latitano ai vertici di magistratura e politica e finanza; se insomma gli stereotipi dilagano, non c’è da stupirsi che anche i giornali ne siano zeppi. Ma i luoghi comuni fanno male, non solo alle persone, offese dai pregiudizi, ma anche all’evoluzione culturale del Paese» ricorda Marina Cosi e prosegue, «l’informazione non ne è esente. […] Almeno i giornalisti ne stanno diventando sempre più consapevoli». 

Giulia Giornaliste – l’associazione che conta 300 iscritte e migliaia di amiche e amici –, «da tempo combatte contro l’uso di parole che nei media negano o offendono: battaglie a favore della declinazione di genere, contro le espressioni che feriscono o giustificano, in favore delle eccellenze femminili con sollecitazioni ed elenchi per dar loro visibilità». 

Infine il libro dedicato alle donne, allo sport e al rapporto con i media, curato da Mara Cinquepalmi e con il contributo di Laura MoschiniManuela Claysset e Mimma Caligaris (fresco di stampa) che s’intitola appunto Donne Sport e Media – Idee guida per una diversa informazione, ed è l’ultimo libro pubblicato dall’associazione di giornaliste. Una guida all’uso corretto della lingua italiana quando si scrive e si parla di sport, insieme a un’analisi su come i giornali trattano lo sport femminile, e su come sarebbe spesso più opportuno parlarne. Il manuale prende spunto dall’omonimo manifesto Donne Media e Sport, realizzato insieme alla Uisp, contiene la prefazione della presidente Silvia Garambois dedicata a Manuela Righini, prima giornalista sportiva italiana. 

Per chi fosse interessata (o interessato) ai volumi può scrivere a Ilibridigiulia@gmail.com accludendo ricevuta di versamento come donazione a GiULiA giornaliste a partire da un minimo di 10euro a copia, comprensivi di spese di spedizione postale. 

L’attenzione e l’impegno per contrasto la violenza di genere è stata significativamente dichiarata anche dalle comunità cristiane presenti in Italia

Il 9 marzo 2015 a Roma presso Il Senato della Repubblica è stato firmato un appello ecumenico comune, promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

«La violenza contro le donne è un’emergenza nazionale. Ogni anno in Italia sono migliaia le donne che subiscono la violenza di uomini, e oltre cento rimangono uccise – si leggeva allora -. Il luogo principale dove avviene la violenza sulle donne è la famiglia: questo è un fatto accertato e grave», denunciava l’appello cinque anni fa. 

L’inedita iniziativa della Fcei, accolta dalla Chiesa cattolica insieme al suo Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (Unedi) della Cei, aveva impegnato un gruppo di lavoro per elaborare il testo, firmato da esponenti cattolici e protestanti e ortodossi.

«Questa violenza – si legge – interroga anche le Chiese e pone un problema alla coscienza cristianala violenza contro le donne è un’offesa a ogni persona che noi riconosciamo creata a immagine e somiglianza di Dio, un gesto contro Dio stesso e il suo amore per ogni essere umano».

Ma la violenza è soprattutto maschile: «La violenza contro le donne ci riguarda. Prendiamo la parola come uomini. I dati sono allarmanti, anche nei paesi “evoluti” dell’Occidente democratico. Violenze che vanno dalle forme più barbare dell’omicidio e dello stupro, delle percosse, alla costrizione e alla negazione della libertà negli ambiti familiari, sino alle manifestazioni di disprezzo del corpo femminile. […]  Noi pensiamo che sia giunto il momento, prima di tutto, di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte maschile», afferma l’Associazione nazionale Maschile Plurale, nata a Roma nel maggio del 2007 e che rappresenta una realtà di uomini con età, storie, percorsi politici e culturali e orientamenti sessuali diversi, radicati in una rete di gruppi locali di uomini più ampia e preesistente. I membri dell’Associazione sono impegnati da anni in riflessioni e pratiche di ridefinizione della identità maschile, plurale e critica verso il modello patriarcale, anche in relazione positiva con il movimento delle donne. 

L’idea è nata con la pubblicazione di un  Appello nazionale contro la violenza sulle donne, scritto da alcuni dei promotori nel settembre del 2006 e controfirmato in pochi mesi da migliaia di altri uomini di ogni parte d’Italia.