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Il «mio» poliedrico Koenig

Dell’architetto valdese Giovanni Klaus Koenig, scomparso trent’anni fa, si parlerà domani a Firenze. La professoressa Cristina Tonelli sarà relatrice al convegno dal titoloA 30 anni dalla scomparsa di Giovanni Klaus Koenig promosso dall’Accademia delle Arti del Disegno e dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, che si terrà presso l’Accademia delle Arti del Disegno – Via Orsanmichele, 4 – Firenze. Alla professoressa Tonelli abbiamo posto alcune domande. 

Professoressa Tonelli, chi era per lei Koenig? 

«Come allieva di Koenig ho sempre avuto il desiderio di divulgare a un pubblico più vasto di quello degli addetti ai lavori la sua figura umana e professionale. L’idea è nata dopo la sua scomparsa nel 1989, ma non sono mai riuscita a realizzarla. Già nel passato ritenevo che potesse essere impossibile produrre un lavoro biografico e professionale esaustivo sulla figura critica di questo grande uomo, ancora oggi ritengo che sia impossibile farlo. Koenig, oltre a essere un grande architetto era un intellettuale a tutto tondo che ha sempre vissuto in modo “interdisciplinare” e poliedrico la sua quotidianità, senza mai sottrarsi alle sfide della vita. Anzi, le molteplicità della vita le snocciolava negli interstizi delle sue simpatiche digressioni, ponendo l’accento sui grandi temi culturali e sociali del nostro paese: digressioni che, come per osmosi, confluivano poi nelle sue passioni principali, l’architettura e il design». 

Domani riuscirà invece, a distanza di tanto tempo a delinearne un ritratto esaustivo? 

«Non credo. Anche se nel tempo ho deciso di raccoglierne l’eredità e di inserirla in un libro che sto ultimando, mettendo insieme le memorie di colleghi rimasti e di giovani nuovi studiosi. Domani sarà più facile raccontare al pubblico, presente in sala, la figura di questo grande uomo. L’intervento sarà incentrato sulle capacità professionali di Koenig: sulla sua spasmodica ricerca della perfezione e cura nelle cose. Una prerogativa che forse derivava dalla sua appartenenza alla comunità valdese, una sorta di etica protestante». 

Qual è l’attualità di Koenig oggi? 

«Una sua prerogativa era quella di riuscire ad avere più registri di comunicazione. Quando Koenig preparava un testo scritto (sono 490 le pubblicazioni tra libri, articoli, contributi), lo faceva in modo chiaro, esplicativo, metodico, inserendovi precise informazioni tecniche, storiche e dati riscontrabili. Redigeva testi, dunque, con grande dovizia, cura e piacevolezza per la lettura. Quando doveva interagire con gli studenti (non ha mai disertato una lezione o a una riunione con i colleghi) o ai dibattiti, o partecipare a interviste televisive o radiofoniche, o semplicemente con persone vis à vis, la sua capacità oratoria era eccezionale e quasi sempre infarcita di battute spiritose, talvolta piccate. Questa sua intelligenza comunicativa è oggi più che mai attuale nell’era dei nuovi media, nella quale è ormai necessario saper comunicare in modo diverso sia sulle diverse piattaforme comunicative sia in base ai mutevoli interlocutori. Però, nel passato, questa prerogativa, innata in Koenig, talvolta rischiava di penalizzarlo, di svilire la sua statura morale e culturale. Molte persone, non tanto acute quanto lui, dopo averlo ascoltato spesso ricordavano la sua simpatia, le sue battute: meno invece le riflessioni e i contenuti di alto livello ascoltati. Questa capacità affabulatoria è stata una grande prerogativa di Koenig, talvolta però penalizzante. Non ho mai sopportato chi non capiva la sua profondità, solo perché sapeva usare sapienza e ironia, segno di grande intelligenza, questa cosa m’infastidiva allora come oggi». 

Era un architetto apprezzato dai colleghi? O come spesso accade, i riconoscimenti sono arrivati postumi?

«Certo. Anche se, spesso e nella sua sconfinata opera pubblicistica era talvolta caustico, pungente, mordace, anche nei confronti di colleghi e progettisti, quelli che lui riteneva approssimativi. Il compito di un architetto, diceva sempre, “è progettare bene, secondo le esigenze dell’utente, secondo l’uso di cose e oggetti”. Non amava le distorsioni, quando le riscontrava diventava tagliente, e lo faceva anche se i professionisti e i colleghi contestati erano suoi amici. Non era cattiveria, era solo spiccato senso etico. Questo suo modo di essere di fare inevitabilmente creava attriti e dissidi». 

Oltre all’architettura c’era il design?

«Certamente, per Koenig il design doveva essere un servizio per la collettività, adattabile elle esigenze di tutte le singole persone; e doveva essere facilmente comprensibile da tutti. Anche in questo caso il rigore morale dettava le linee del lavoro e dell’opera di Koenig». 

È per questo motivo che l’intervento di domani è intitolato: G.K.K.: «attenti al dettaglio che lo scarto è breve tra ruggito e raglio»?

«Sì. Per far comprendere al pubblico quanto il rigore morale fosse una prerogativa di Koenig. Ho scelto il titolo di un articolo che egli scrisse negli anni Ottanta, dedicato all’ampliamento del cimitero di Modena realizzato dal collega Aldo Rossi. A Koenig non convinse l’architettura scelta, che riteneva angosciosa, che non interpretasse il senso della morte. Non solo, per Koenig il progetto era costruito male, così male, che il suo articolo si concluse proprio con la frase: attenti al dettaglio che lo scarto è breve tra ruggito e raglio. Per far comprendere quanto lo scarto, possa essere brevissimo tra: il bene e il male, il bello e il pacchiano, l’utile e l’inutile, proprio come breve può essere l’emissione di un suono nel produrre o un ruggito o un raglio».

Koenig in sintesi?

«Un uomo, un intellettuale, un professionista di grande umanità che credeva fortemente nella formazione e che riteneva che la crescita culturale e sociale potesse passare solamente attraverso un cosciente atteggiamento critico».

Foto di Alberto Corsani