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Racconti dalle frontiere

Giovedì 21 novembre, alle 18 nella libreria Claudiana di Milano, verrà presentato il volume Racconti dalle frontiere, proposto dal Servizio Inclusione della Diaconia Valdese. Una raccolta di testimonianze biografiche, alcune più vivaci altre più toccanti.

All’incontro, moderato da Monica Fabbri, partecipano la pastora Dorothee Mack, l’avvocato Almi Alberto, Ilaria Sommaruga (referente del progetto Dublino) e Simone Alterisio (referente progetto Ventimiglia).

Simone Alterisio, operatore della Diaconia Valdese nel progetto Ventimiglia, spiega la genesi del volume: «Un libro che nasce dall’idea di dare un quadro generale sulle frontiere e sui territori in cui opera la Diaconia. Già dalla copertina si capisce il senso di questo volume: vediamo una cartina dell’Italia con un punto di vista particolare, in cui le frontiere rappresentate sembrano da per un certo verso disgregarsi. Fanno però anche intuire i paesaggi, sembrano quasi le orme dei migranti che si muovono sul territorio e che dalle frontiere entrano in Italia e cercano di uscire».

Quali sono le frontiere raccontate nel libro?

«Il libro è stato scritto a cinque mani e sono tutte storie in cui la frontiera è protagonista. Io mi sono occupato dell’ambito in cui lavoro, la frontiera con la Francia a Ventimiglia, in Liguria. Ma troviamo anche quella della val Susa, quella di Gorizia, dove arrivano le persone in Italia dalla rotta balcanica e quella di Pachino, in Sicilia, per chi invece arriva con la rotta migratoria libica. Poi c’è Malpensa, che noi intendiamo come frontiera per la questione dei ragazzi “dublinati”. Per loro, che vengono rispediti in Italia e arrivano a Malpensa, l’aeroporto viene visto come barriera per proseguire il loro viaggio, i loro progetti».

E chi racconta le storie dalle frontiere?

«Il libro è scritto in prima persona, perché vuol far capire ai lettori il punto di vista del ragazzo migrante che parte dal proprio paese di origine e oltrepassa frontiere, attraversamenti. Raccontiamo come i suoi occhi vedono gli ostacoli che gli vengono posti di fronte e vorremmo che il lettore riuscisse ad immedesimarsi nelle sue vicende. I protagonisti ci raccontano ciò che vivono tutti i giorni e nei racconti prendono vita diversi tipi di frontiera: quella fatta da regole e norme, le frontiera fisiche delle montagne, della neve, della polizia. E poi le frontiere che portano con sé la morte, le perdite. Attraverso questa forma letteraria della prima persona il libro non vuole essere un riferimento solo per gli addetti ai lavori, ma anche uscire e far conoscere le storie di vita personali di ragazzi che faticano a raccontarsi».

Puoi citare un estratto di un racconto?

«Vi leggo l’ultima parte del primo brano di Ventimiglia, un racconto molto evocativo. “Eccomi di nuovo qui […] da Roma decido di ritornare a Ventimiglia […] non ha senso venire ghettizzato, senza possibilità di integrazione e sono stanco di leggere il disprezzo della gente che ci guarda, che non ci vuole, che nemmeno ci prova a capire. Il futuro non c’è più […] io ormai non spero più niente”. Come vedete è un racconto che finisce con una domanda e con una visione negativa sul futuro, perché spesso è così, non si trovano soluzioni in questo sistema e la speranza si perde».

Il libro è già stato presentato a Vallecrosia e, dopo la tappa del 21 novembre a Milano, sarà la volta di Padova.