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Handke-Tokarczuk, interiorità e storia

Il premio Nobel per la Letteratura è quest’anno doppio: alla scrittrice polacca Olga Tokarczuk quello per l’edizione 2018 (quando non fu assegnato in seguito allo scandalo per molestie sessuali che coinvolgeva un membro dell’Accademia svedese), e allo scrittore austriaco Peter Handke quello per il 2019.

Il nome e la fortuna di Peter Handke sono legati, oltre al suo talento, a una congiuntura irripetibile, che tra gli anni ’70 e ’80 portò alcune originali forme di scrittura a interagire in maniera molto produttiva con il cinema. Così è anche per il legame tra Handke, austriaco della Carinzia ma con madre di lingua slovena, e Wim Wenders, allora autore di punta del Nuovo cinema tedesco. Lo Handke sceneggiatore, raccoglieva alcune delle eredità più rilevanti della cultura tedesca: compresenti, per esempio, in Falso movimento (1975), che si ispira al Wilhelm Meister di Goethe, alla pittura romantica di Caspar Friedrich, messi in interazione però con la riflessione sul passato del nazismo e del dopoguerra. L’ultimo grande frutto di questa collaborazione sarà Il cielo sopra Berlino, due anni prima del “crollo del Muro”. 

Più rilevanti della dimensione storica tuttavia sono quelle della vicenda familiare personale, la capacità di introspezione in se stesso, con libri-diario di rara intensità (su tutti Il peso del mondo, Guanda, 1977 e Lentamente nell’ombra, 1992), la cui produzione non è ancora terminata, la capacità descrittiva.

Sulla dimensione personale pesa in maniera inesorabile il suicidio della madre, a cui dedica lo struggente e lucidissimo Infelicità senza desideri, (1972, v. it. Garzanti, 1976 ss.). E la solitudine delle donne ritorna in La donna mancina (1976, v. it. Garzanti 1979 ss.), che Handke stesso realizza come film nel 1978.

Colpiscono nei libri dello scrittore austriaco, coinvolto negli anni del conflitto della ex-Jugoslavia in un’aspra polemica per la sua perorazione a sostegno della causa serba, l’attenzione maniacale ma mai ossessiva per i particolari, la ricerca della precisione, l’aspirazione a un accordo fra le percezioni e la realtà: un paesaggio, una pianta, una serie di passanti. In una notevole Intervista sulla scrittura (a cura di H. Gamper, p. Lubrina editore, 1990) egli teorizza la sua pratica, riassumendola in un paradosso: la fantasia come capacità di ragionare, selezionare, aderire: «la fantasia come fedeltà, e non come sfumatura o colore aggiunto». Applicazione, dunque, e autodisciplina: «… io riconosco quei particolari che sono lì, inconfondibili, e li ricollego tra loro, questo è il mio lavoro di fantasia». Storie in parte vere, perché sono anche autobiografia, storie inventate, per guardare poeticamente dentro la collettività che siamo noi.

Olga Tokarczuk (nata il 29 gennaio 1962) rappresenta perfettamente la generazione delle polacche e dei polacchi nati negli anni Sessanta del Novecento. Una generazione che frequentava le scuole superiori durante gli scioperi del 1980, una generazione che si stava laureando quando cadeva il muro di Berlino e in Polonia, per la prima volta dal 1948, si svolgevano le prime elezioni semi-libere.

Si tratta anche di una generazione che oggi è profondamente spaccata. La maggior parte degli esponenti del partito Prawo i Sprawiedliwość (Diritto e Giustizia), attualmente al governo, fa parte di questa generazione. Dall’altra parte c’è chi vede nel progetto politico di Diritto e Giustizia, antieuropeista e fortemente nazionalista, un palese tradimento degli ideali che hanno animato le proteste degli anni Ottanta. Olga Tokarczuk indubbiamente fa parte della seconda categoria. È nota la sua militanza all’interno del Partito dei Verdi polacco, sono incisive le sue prese di posizione a favore dei diritti delle donne e di tutte le minoranze emarginate dall’attuale regime politico (persone Lgbt, migranti, alcune minoranze religiose).

Le sue opere letterarie tuttavia non possono essere classificate come denuncia politico o sociale. Tokarczuk, psicoterapeuta di scuola junghiana, è più interessata alla dimensione interiore dell’essere umano, laddove la battaglia tra le forze della Luce e delle Tenebre è sempre in corso. Infatti, la sua primissima opera pubblicata nel 1989 è un volume di poesie intitolato Miasta w lustrach (Città negli specchi). Una pubblicazione che all’epoca non ha riscosso molto successo. La celebrità è arrivata soltanto con il suo terzo romanzo del 1996 Prawiek i inne czasy (edito in Italia da e/o nel 1999 con il titolo Dio, il tempo, gli uomini e gli angeli e da successivamente da nottetempo nel 2013 con il titolo Nella quiete del tempo). 

Nel 2014 Tokarczuk ha dato alle stampe il romanzo Księgi jakubowe (I libri di Jacob).Il contesto storico è la Polonia del XVIII secolo e l’Europa centro-orientale e il libro si occupa di un episodio importante nella storia degli ebrei europei. L’opera, acclamata da critica e lettori, ha però ricevuto accoglienza ostile da parte di alcuni circoli nazionalisti polacchi, diventando obiettivo di una campagna di odio sul web. L’ultima fatica di Tokarczuk, del 2018, Opowiadania bizarne (Racconti bizzarri) segna il ritorno a forme letterarie brevi ma cariche di significati. Una prosa condensata e riferimenti simbolici non sempre facili da interpretare caratterizzano questa raccolta, unica nel suo genere.

L’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Tokarczuk è un indiscusso riconoscimento del suo talento. Si nota però una certa analogia con lo stesso premio assegnato nel 1980 a Czesław Miłosz, l’intellettuale di punta del dissenso anticomunista. Il 13 ottobre (domenica prossima) le cittadine e i cittadini polacchi saranno chiamati a eleggere un nuovo parlamento. Può darsi che il Premio Nobel a Tokarczuk dia una nuova energia a coloro che combattono tenacemente contro il monopolio politico di Jarosław Kaczyński.