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«Un tempo eravamo un unico paese…»

La notizia di poche ore fa del lancio di due ordigni, probabilmente missili a corto raggio, dalla Corea del Nord nel Mar del Giappone, ha messo subito in allarme. Non accadeva dal 9 maggio, ed è il terzo test balistico da aprile, dopo più di un anno di sospensione di operazioni di questo genere, con il concretizzarsi della speranza di un processo di pace. Una prova di forza di Kim Jong-un per accelerare le trattative, sostanzialmente in stallo dopo l’infruttuoso incontro di febbraio ad Hanoi, nonostante la stretta di mano con Trump proprio sul confine tra i due paesi lo scorso 29 giugno, e imporre la riduzione delle sanzioni sul suo paese, senza rinunciare al proprio arsenale nucleare come invece gli viene richiesto.

In questo contesto potenzialmente esplosivo acquista quindi un peso particolare la preghiera diffusa congiuntamente nei giorni scorsi dal Consiglio nazionale delle chiese in Corea (Corea del Sud) e dal Comitato centrale della Federazione cristiana coreana (Corea del Nord) e l’invito del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) a «tutte le persone di buona volontà a osservare una domenica di preghiera per la riunificazione pacifica della penisola coreana l’11 agosto».

Una consuetudine che si ripete ogni anno, nella domenica che precede il 15 agosto, data non casuale in quanto coincide sia con l’anniversario della liberazione della Corea dall’oppressione coloniale giapponese nel 1945 dopo trent’anni di occupazione, sia la divisione della penisola in due paesi nel 1948.

«Signore, un tempo eravamo un unico paese»: queste sono infatti le prime parole della preghiera, diffusa in inglese e coreano, ricordando che per 5000 anni la penisola è stata unita, e che il suo popolo ha reclamato unito l’indipendenza dalla tirannia giapponese. «Siamo stati divisi da forze straniere», prosegue, «nonostante avessimo combattuto per creare un mondo in cui una persona potesse muoversi liberamente senza barriere o divisioni». Le potenze che circondavano la Corea, «con occhio cieco alle nostre aspirazioni» hanno perseguito i propri interessi, e così la gioia per l’indipendenza si è trasformata in altro dolore, dice il testo.

La preghiera rivolta a Dio è che non scoppi più una guerra su quella terra, e che possa essere stabilito «un regime duraturo e pacifico da cui nessuna potenza straniera possa trarre vantaggio». Il rimprovero alle «forti nazioni» che la circondano riguarda anche l’indifferenza alla «nostra pace e sicurezza, preferendo i loro interessi», ma la marcia verso la pace non può essere fermata.

Le due Coree vogliono essere una, aiutandosi reciprocamente, e costruendo «un mondo felice e prospero». Anche in questo viene rivolta un’accusa agli altri paesi, alla feroce competizione globale, contrapponendo la convinzione che solo «nella saggezza della co-prosperità» sia possibile un futuro di stabilità e benessere. E qui vengono citate la regione industriale di Kaesong, creata nel 2004 al confine fra le due Coree nel territorio della Corea del Nord, fortemente incentivato dalla Corea del Sud, chiusa nel 2016 per le tensioni fra i due paesi, e le bellezze naturali del Monte Kumgang, troppo a lungo precluse agli abitanti del paese.

Diverse manifestazioni sono previste in Corea del Sud, con culti congiunti alla Bogum Church di Seul e a livello regionale in diverse altre città, ma anche festival musicali e altri eventi. Il 15 agosto, festa della liberazione, il Consiglio nazionale delle chiese organizza un evento congiunto con un’organizzazione della società civile (6.15 Committee), una catena della pace che circonderà le ambasciate degli Stati Uniti e del Giappone, due paesi chiave nel destino della penisola.