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In piazza per la Sea Watch

La Sea Watch 3 ha trascorso la notte in mare a soli 3 miglia dal porto di Lampedusa. Ieri la comandante Carola Rackete, dopo 14 giorni trascorsi in mezzo al mare, ha deciso di forzare il divieto di ingresso nelle acque territoriali per portare a terra i 42 naufraghi soccorsi al largo di Lampedusa, ignorando l’alt delle motovedette della Guardia di finanza. Dinanzi all’indifferenza di tutta l’Unione Europea e allo schiaffo della Corte europea dei diritti dell’uomo che il 25 giugno ha respinto il ricorso presentato dai 42 migranti a bordo, che chiedevano lo sbarco in Italia, la giovane capitana, «non per provocazione, ma per necessità, per responsabilità», ha deciso di entrare in acque italiane e di portare nel porto sicuro più vicino i migranti soccorsi dalla Sea Watch 3.

La situazione è al momento in stallo e potrebbe cambiare in queste ore. Si moltiplicano intanto in diverse città (Lampedusa, Palermo, Bologna, Torino, Catania) presidi, veglie, manifestazioni della società civile in solidarietà con i 42 migranti e tutto l’equipaggio della Sea Watch 3. 

La sera del 25 giugno scorso in piazza Duomo a Catania c’erano oltre cento cittadini al presidio organizzato dalla Rete «Restiamo umani», che raccoglie una ventina di soggetti, tra cui anche le chiese battista di via Capuana e valdese di via Naumachia. 

«Abbiamo partecipato al presidio – ci racconta Silvia Rapisarda, pastora battista delle due chiese di Catania, raggiunta al telefono – per esprimere la nostra vicinanza alle 42 persone che da più di due settimane sono sulla Sea Watch, all’equipaggio di quella nave e di tutte le navi delle ONG che ancora tengono viva la umanità e la coscienza di un’Europa che sembra invece alla deriva. Siamo scesi in piazza anche per smantellare la propaganda e l’odioso linguaggio che parla di clandestini, di trafficanti, quando a largo di Lampedusa non ci sono clandestini ma persone alle quali viene negato il diritto di chiedere protezione internazionale. In questo momento a largo di Lampedusa non ci sono persone che stanno cercando di violare la frontiera di una nazione libera ma ci sono delle persone naufraghe a cui viene negato il diritto internazionale di trovare soccorso nel porto sicuro più vicino; in questo momento al largo di Lampedusa non ci sono gli amici dei trafficanti ma ci sono le Organizzazioni umanitarie che fanno quello che gli Stati dovrebbero fare: permettere a persone che fuggono da guerre, tortura, da sistemi economici che hanno affamato interi paesi africani, il diritto di poter ricercare per loro un presente e un futuro dignitoso come ciascuno e ciascuna di noi pretende per sé». 

«Come cittadini e credenti siamo scesi in piazza – prosegue la pastora Rapisarda – per dire che non ci sta bene una nazione dove i diritti sono garantiti a seconda del colore della pelle e della cittadinanza: i diritti umani o sono per tutti e tutte, o non sono per nessuno. Viviamo in un’Europa che ha una coscienza putrefatta, mortifera che ritiene oramai dei privilegi per sé qualcosa che nega ad altri e altre. Noi diciamo “prima gli esseri umani”, umanità prima di tutto, noi non abbiamo paura di chi viene da qualche altro paese, noi abbiamo paura di chi dice di essere come noi semplicemente perché è nato nella stessa parte della frontiera, umiliando la nostra stessa coscienza e mortificando la nostra idea di fratellanza, di sororità e di diritto universale. Il nostro appello è: fateli scendere ora! Porti aperti, cuori aperti: prima gli esseri umani!».

Proprio il bisogno di portare in salvo 42 esseri umani stremati, abbattuti, ha convinto Carola Rackete,la 31enne capitana della Sea Watch ad infrangere con coraggio la legge, accettando le possibili conseguenze di questo atto (multa, sequestro della nave, arresto e detenzione fino a 15 anni). 

«Sono molto impressionata dal coraggio di questa giovanissima donna – ha commentato infine la pastora Rapisarda –. Il suo atto di disobbedienza ha richiamato alla mia mente quella pagina in cui il pastore battista Martin Luther King in Lettera dal carcere di Birmingham, scrive che non solo la disobbedienza civile è giustificata dalla presenza di leggi ingiuste, ma “abbiamo anche la responsabilità morale di disobbedire alle leggi ingiuste”, e per il leader nonviolento una legge è ingiusta “quando degrada la creatura umana”. Il gesto di onorare, di essere al servizio della dignità umana dei 42 naufraghi salvati nel Mediterraneo, compiuto da Carola Rackete è l’attualizzazione della disobbedienza civile che fu del pastore King. Carola ha scelto di disobbedire una legge che mortifica l’essere umano, assumendo in tutta coscienza e responsabilità le conseguenze di quest’atto. A lei va il nostro sostegno e la nostra preghiera».