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La «Bibbia degli schiavi»

A un anno e mezzo dall’apertura, il Museo della Bibbia di Washington (ne avevamo parlato qui in un articolo di Paolo Naso) fa nuovamente discutere. Da ieri, 28 novembre, e fino ad aprile, significativamente a cavallo del 400° anniversario dell’arrivo dei primi schiavi africani nel Nuovo Mondo, è esposta una nuova mostra, La Bibbia degli schiavi. Lasciamo che la storia sia raccontata, contenente tra gli altri un volume (38x28x10cm), prestato dall’Università Fisk di Nashville, Tennessee, intitolato Porzioni della Sacra Bibbia selezionate per l’utilizzo da parte degli schiavi neri nelle isole britanniche delle Indie occidentali.

Questo testo, stampato a Londra nel 1807 e usato dai missionari inglesi nei Caraibi, è una Bibbia fortemente emendata, dalla quale è assente quasi tutto l’Antico Testamento e metà del Nuovo. La «Bibbia degli schiavi» contiene soltanto 14 libri (su un totale, a seconda delle versioni protestante o cattolica, di 66-73), e anche questi non nella loro interezza. Naturalmente, sono stati tolti tutti i passaggi che parlano di libertà, a favore di quelli che parlano di obbedienza ai padroni, di sottomissione. Pochi passaggi dall’Esodo, ad esempio, in cui si racconta della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù in Egitto (libro invece fondamentale nella storia degli afroamericani, non soltanto nel periodo schiavista ma in tutta la successiva lotta per i diritti civili), l’assenza totale dell’Apocalisse ma anche della maggior parte dei Salmi, in cui si esprime la speranza nella liberazione dall’oppressione.

Nell’idea dei colonialisti, la lettura integrale della Bibbia, troppo ricca di speranza per una vita migliore, avrebbe potuto instillare negli schiavi africani, convertiti al cristianesimo, pericolose idee di ribellione. Conversione sì, dunque, ma “temperata”…

Questo oggetto raro (pare che ne siano rimasti soltanto tre esemplari al mondo) e controverso getta luce su un capitolo oscuro della storia, e sull’utilizzo della Bibbia e della religione a sostegno della politica imperialista e dello schiavismo: può portarci a riflettere sull’uso distorto e la trasformazione di un «libro di speranza e libertà per tutte le comunità del mondo», commenta sul sito del Museo il rev. Matthew Watley, della chiesa metodista episcopale di Reid Temple a Washington.

A ben guardare, però, la mostra interroga anche il presente, su temi attuali come il razzismo e le moderne forme di schiavitù nel mondo. Conferenze e seminari saranno organizzati accanto alla mostra per approfondire l’argomento; i promotori sono convinti che la Bibbia degli schiavi avrà un forte impatto sul pubblico, anche sull’onda delle esperienze già fatte con gli studenti dell’Università Fisk, molti dei quali afroamericani. Alcuni hanno reagito con incredulità, incapaci di credere che persone cristiane abbiano potuto agire in questo modo.

Diversi messaggi e insegnamenti possono essere tratti da questa esposizione, da un punto di vista storico o religioso; e molte chiese potranno essere sollecitate a prendere spunto per porsi la domanda di fondo della mostra: la Bibbia che predichiamo è una Bibbia della liberazione o del dominio?