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«Il dialogo, una trama di relazioni»

«Nessuna moschea è illegale», questo il tema della Giornata del dialogo cristiano-islamico del prossimo 27 ottobre. In molte realtà locali, però, è presente un “dialogo dal basso” che va molto al di là della singola giornata. Nel caso dell’Emilia Romagna, «si può dire che ci sia un filo continuo, un rapporto ormai consolidato. Progettiamo iniziative a lunga scadenza nel tavolo “Incontri e dialoghi” con la chiesa valdese della Romagna, cui si è aggiunta la chiesa metodista di Bologna. Durante l’anno, noi musulmani partecipiamo alle iniziative di queste chiese, dalla festa della Riforma alla settimana della libertà…».
Lo racconta Marisa Iannucci, islamologa, ricercatrice e attivista per i diritti umani, membro della comunità islamica di Ravenna, sua città natale (dove è stata tra le fondatrici della prima moschea, il centro “La Scaletta”). Convinta che «quello che si fa getta semi per il futuro», da anni è impegnata per favorire una migliore conoscenza della minoranza musulmana in Italia, ancora poco organizzata e poco (e male) conosciuta. 
La conoscenza parte dai rapporti umani, spiega, come è avvenuto negli incontri organizzati a Rimini e Ravenna fra giovani valdesi e musulmani: «Si sono create importanti relazioni tra le persone, e questo non è secondario: il dialogo parte dalle basi, dalla quotidianità, non dobbiamo fare solo teoria accademica, dobbiamo conoscerci come persone, frequentarci, parlarci. È un dialogo che tende a costruire una trama di relazioni».

La Giornata del dialogo, a Ravenna, viene quindi costruita durante tutto l’anno, spiega Mannucci, «scegliendo il tema che ci sta più a cuore: un anno è stato quello dei profughi, quest’anno abbiamo riflettuto sul carcere». Protestanti e musulmani, incontrandosi il 23 settembre (ne avevamo parlato qui), hanno scelto una data e un tema diversi da quelli “ufficiali”, ma più in linea con il lavoro svolto nelle carceri di Ravenna e Bologna. Anche qui è nata una collaborazione importante, che si attiva per esempio quando allo sportello di ascolto gestito dall’associazione Life onlus, di cui Iannucci è presidente oltre che operatrice “sul campo” (lavorando anche come promotrice di salute e come volontaria al carcere “Dozza” di Bologna) vengono assegnati detenuti protestanti. 
Uno dei segnali che dimostrano che c’è ancora poca conoscenza e attenzione alle differenze culturali e religiose in carcere è, infatti, che allo sportello vengono assegnate persone classificate come musulmane solo per la loro provenienza geografica. «In generale c’è ignoranza, si considera che tutti gli africani siano musulmani… Poi è chiaro che lo sportello accoglie tutti, anche italiani cattolici, ma indubbiamente non c’è la conoscenza dell’esistenza di altre chiese cristiane… In carcere a Bologna gli stranieri sono il 52%, su un numero di 800 persone è una presenza importante…».

È dal 2006 che l’associazione Life Onlus, fondata a Ravenna nel 2000 da una quindicina di donne musulmane (italiane, ungheresi, somale, nordafricane, mediorientali….), ha uno sportello sociale e informativo nel carcere, in accordo con il Comune. Vi operano diversi volontari insieme a Iannucci e alla vicepresidente dell’associazione Latifa Bouamoul, mediatrice interculturale. «Oltre a gestire lo sportello, organizziamo attività culturali e occasioni di festa aperte a tutti, aiutiamo i detenuti indigenti, accompagniamo detenuti assistiti da comunità terapeutiche».
Life Onlus, nata per svolgere attività all’interno della comunità musulmana di Ravenna, da subito ha ampliato la sua azione. Il 2001, con l’attacco alle torri gemelle, è stato un momento decisivo: «L’islamofobia aveva raggiunto livelli molto alti e la situazione generale non facilitava le cose, ha cambiato la nostra mission: ci siamo rese conto che dovevamo lavorare molto anche all’esterno della nostra comunità, per favorire la conoscenza della realtà musulmana. Da subito abbiamo iniziato a fare dialogo religioso, siamo state le prime a organizzare l’iniziativa delle moschee a porte aperte, che ora si fa in tutta Italia». 

Allo stesso tempo, al proprio interno, l’associazione ha cominciato a ragionare sulle questioni di genere, sui diritti delle donne e il femminismo, sui rapporti all’interno della comunità, che oggi sono uno dei suoi temi fondamentali. Nel 2008-2009 è nato il laboratorio Insān, da una parola del Corano che, spiega Mannucci, «significa essere umano, senza distinzione di sesso. Ci è piaciuta perché indica un po’ la nostra filosofia, di un Dio che considera l’umanità come fratellanza e sorellanza universale, senza discriminazioni». 
Il gruppo, di cui fanno parte anche ricercatori in sociologia, scienze politiche e sociali, teologi, negli anni ha svolto ricerche sui temi delle culture mediterranee, sul dialogo interreligioso, su specifiche questioni di genere. Finora sono stati pubblicati sei volumi, con l’editrice universitaria di Ravenna Giorgio Pozzi (nella collana “Dialoghi mediterranei”, curata dalla stessa Marisa Iannucci) e per altri editori. In questo momento il gruppo sta svolgendo una ricerca sull’islamofobia che dovrebbe essere pubblicata l’anno prossimo. «Abbiamo anche fatto un convegno internazionale sul femminismo musulmano, curato mostre: è un lavoro in divenire, un’esperienza nuova in Italia: come si dice, “chi non ha la strada si fa la strada camminando…”».

Photo: Eduard Hahn, giornata del dialogo cristiano-islamico 2018 a Ravenna.