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Essere minoranza: e se fosse anche una vocazione?

Fra gli argomenti più coinvolgenti all’Assemblea della Conferenza delle chiese protestanti dei paesi latini d’Europa (Cepple), che si è svolta a Lisbona (4-6 ottobre), vi è certo quello delle fresh expression: Sabina Baral, fra i partecipanti di parte italiana, ne dà una valutazione: «Basate su un modello anglosassone, le fresh expressions si propongono di “fare chiesa” al di fuori della rete comunitaria (casa, caffè, scuola, monastero, intergenerazionalità…). Si tratta di osservare il contesto e poi fare teologia – e non il contrario –, liberare nuove energie spirituali contro i limiti istituzionali, non portare la gente in chiesa o fare evangelizzazione ma “creare la chiesa” dove la gente “è già chiesa”, un sistema in cui ciò che è istituzionale e tradizionale incontra il nuovo; la solidità teologica dell’una dovrebbe amalgamarsi con il dinamismo dell’altra, per un nuovo slancio missionario».

– C’è però un rovescio della medaglia?

«Vedo una serie di problemi: se la chiesa si incarna nel contesto, quale sarà la sua distanza critica dalla cultura? Dove finisce il giudizio che spesso l’Evangelo ci obbliga ad avere nei confronti della realtà che ci circonda? E quand’è che il “fresco” diventa vecchio? La richiesta disperata del nuovo non rischia di indebolire il vecchio? Le fresh expression sono per natura realtà fragili, circoscritte a meno di 40 persone, per lo più guidate da laici. In questa visione anche il web e i social sarebbero nuovi luoghi di condivisione dell’Evangelo ma poi è proprio dove impera la tecnica, dove più si afferma la realtà digitale, che bisogna favorire l’espressione del lato umano».

– In questo quadro, come ripensare il protestantesimo latino?

«Dalla scorsa Assemblea la Cepple è diventata un gruppo regionale della Comunione di chiese protestanti in Europa (CcpE – che ha celebrato la sua Assemblea a metà settembre a Basilea), come «sud Europa», ma essa non condivide appieno né lo stile accademico e solido del mondo germanico né il pragmatismo anglosassone. Se ci chiediamo: esiste ed è visibile una “specificità latina”?, io credo che sia positiva la “fluidità” delle aggregazioni, ma queste rimagono su un livello di orizzontalità, dobbiamo ritrovare la forza di vivere una dimensione verticale di rapporto con Dio, e non solo la dimensione interpersonale: non possiamo lasciare che la sola “intensità” prenda il posto della fedeltà».

– Come viene vissuta la situazione di minoranza delle chiese latine?

«Essere minoranza e forse trovarsi in una condizione di fragilità è anche una vocazione che può aiutare la chiesa a comprendere se stessa. Secondo la pastora e teologa Corinne Lanoir, bisognerebbe interrogarsi su che cosa significhino i nuovi stili di chiesa che vengono “scelti” dagli aderenti, e non sono più costituti dai “fedeli”. Non sono sintomo di un appiattimento neoliberale della fede in salsa privata, dove ciascuno fa la sua propria sintesi nel mercato delle opinioni religiose? Diventa dunque quanto mai prioritario articolare un discorso che parta dalle narrazioni di ognuno, da ascoltare e condividere. Bisogna riprendere il racconto dell’esilio, come fu quello dell’antico Israele, come un’“uscita” che è divenuta un itinerario, una narrazione di sé che possa reinterpretare la nostra vita».

Per il pastore Mauro Pons, presidente della Comm.ne esecutiva del I Distretto valdese, l’Assemblea è stata importante: «perché, pur nella varietà e nella ricchezza delle esperienze condivise, mi ha permesso di capire che, tutto sommato la nostra chiesa non è “messa male”, come siamo soliti pensare. Le Chiese riformate di Belgio, Francia e dei cantoni svizzeri di lingua francese sono impegnate come noi a dare un nuovo assetto alla loro organizzazione, investendo molto sulla comunicazione, sul lavoro giovanile e sul tentativo di recuperare le fasce di coloro che, come dicono loro, sono “de-ecclesiasticizzati”. Hanno più risorse economiche di noi, ma non hanno progetti più significativi o particolarmente originali. Mi ha molto impressionato la testimonianza del lavoro delle chiese metodiste portoghesi, molto vicine come sensabilità e problematica al nostro “Essere chiesa insieme”. Ho avuto molto perplessità per quanto riguarda le esperienze di fresh expression che ci sono state presentate, tutte del mondo inglese: non mi è chiaro quale teologia e quale ecclesiologia le sostengano. Peraltro, in un contesto così internazionale mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di confrontarmi con una riflessione teologica di qualche sostanza: mi sembra impossibile affrontare qualsiasi ipotesi di predicazione alla società del nostro tempo senza la base di una forte e chiara intenzione teologica, sostenuta da un forte radicamento biblico: che cosa fanno le chiese dei paesi latini per quanto riguarda la testimonianza evangelica? È sufficiente rimandare questo lavoro alle sole Facoltà teologiche? Io credo di no».

– Il «mondo Cepple» è dunque meno uniforme di quanto non si creda?

«Mi sembra evidente che all’interno del panorama delle chiese dei paesi latini ci sono due sistemi a velocità diverse: da una parte le chiese di Belgio, Francia e Svizzera francese; dall’altra chiese italiane, le spagnole e in modo particolare le portoghesi. Tra l’altro, si è preso atto che la lingua francese non può più essere la lingua ufficiale e comune di questi Colloqui: l’inglese acquisterà sempre più predominio nei prossimi anni. Questo vuol dire che anche teologicamente il mondo anglosassone diventerà predominante?. Buon fresh expression, allora».