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Le chiese e il ’68

La festa del 15 agosto di quest’anno, ospitata dalla chiesa di San Secondo, non ha voluto ignorare la ricorrenza dei cinquant’anni dal 1968. Un anno diventato fenomeno socio-culturale, durante il quale  movimenti di massa legati alle realtà scolastiche, lavorative e politiche, hanno portato le proprie istanze a livello di contestazione. Le chiese valdesi non sono rimaste estranee a questo clima e una mostra, presentata per la prima volta per l’occasione, porta delle testimonianze fotografiche e documentali del dialogo intercorso tra mondo delle chiese e realtà secolare del tempo. Ne parlano i curatori, Erika Tomassone, pastora valdese a Rorà, e Davide Rosso, direttore del centro Culturale Valdese.

Cosa vi ha colpito maggiormente nel corso delle vostre ricerche?

E.T.: «La cosa più singolare del nostro mondo è che negli anni intorno al ‘68 c’erano dei giovani e delle giovani che pur avendo un impegno politico molto concreto e reale nel movimento degli studenti o a fianco degli operai, non hanno abbandonato né le chiese né la riflessione teologica; hanno anzi portato il loro impegno direttamente dentro le chiese di cui erano membri, attraverso una critica della teologia con dei metodi molto interessanti».

Questo è stato possibile grazie al clima politico o al clima all’interno delle chiese?

E.T.: «L’idea di sviluppare una linea di pensiero, senza seguire il passato o cercando compromessi con esso, ma di cogliere l’occasione per un dibattito assembeleare, penso provenisse dal mondo della politica».

Come vi siete documentati e cosa avete proposto in questa occasione?

D.R.: «Siamo partiti dal leggere tanto, perché sia io che Erika non siamo testimoni dell’epoca. Abbiamo letto giornali, periodici giovanili, i periodici di riflessione interni alla chiesa, poi siamo andati avanti cercando di confrontare quello che leggevamo con le fonti documentaristiche degli archivi. Per noi era importante capire quello di cui stavamo parlando. Attraverso queste ricerche ho capito molto di più il ‘68 come anno, perché ci si dimentica che cosa è stato dal punto di vista quantitativo: un mare di notizie, di informazioni, di gente che si incontrava e che si scontrava, idee che venivano fuori, venivano bocciate, venivano riprese.»

Di cosa si compone la mostra?

E.T.: «I due pannelli iniziali cercano, attraverso delle foto, di riprendere il mondo del ‘68: la contestazione degli atleti afroamericani alle olimpiadi di Città del Messico, l’assassinio di Bob Kennedy, la presenza, seppur non fisica, di Martin Luther King come figura di riferimento, la guerra del Vietnam e tanti altri eventi che sono il tentativo di far vedere visivamente, come in un flashback, di che anni si sta parlando. Il resto della mostra è una collezione ragionata di documenti. Io forse sono più affezionata a quello che sarebbe ancora utile oggi di questi documenti: per esempio il fatto che a un certo punto gli operai scrivono ai pastori, dopo essere stati al culto, interrogandoli sulla predicazione. E due pastori rispondono! Giorgio Tourn e Franco Gianpiccoli prendono la penna e scrivono agli operai non bacchettandoli, ma fornendo un altro punto di vista. Questa possibilità di evitare le chiusure reciproche ma di parlarsi e scriversi, mi sembra una cosa molto importante anche per l’oggi».

D.R.: «Tra l’altro il tema del Sinodo del 1968 era La predicazione e un commento a caldo di Paolo Ricca parla non di una chiesa che predica, ma di una chiesa che si interroga. Siamo ancora li: è importante interrogarsi e farlo in assemblea; è qualcosa che era utile dire allora come oggi».