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Asso 28: dove finiscono le zone grigie?

Il mese di luglio si è chiuso, nelle acque del Mediterraneo, con un episodio che potrebbe segnare una nuova fase nelle politiche di gestione dei flussi migratori lungo la rotta che collega Libia e Italia e che dall’inizio del 2018 ha visto morire in mare oltre 1.100 persone a fronte di una netta riduzione degli sbarchi sulle coste italiane.

Nel primo pomeriggio di lunedì 30 la nave Asso 28, un rimorchiatore dell’armatore italiano Augusta Offshore in servizio presso la piattaforma petrolifera Sabratah, che l’Eni gestisce insieme alla società libica Noc a 57 miglia a nord di Tripoli, aveva ricevuto la segnalazione di un gommone con 101 persone in difficoltà a meno di due miglia di distanza.

Una volta raggiunto il gommone, la nave Asso 28 ha preso a bordo i naufraghi e poi, scortata da una motovedetta della guardia costiera libica, li ha riportati ad Abu Sittah, il porto militare di Tripoli. Qui le persone sono state fatte sbarcare e da allora non è chiara la loro situazione.

Tutto normale? Tutto secondo le regole? Non proprio, almeno secondo Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, che in un comunicato «evidenzia con assoluto sconcerto come quanto accaduto sembra delineare una delle più gravi violazioni del diritto internazionale ed europeo in materia di asilo mai avvenute». L’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, ha deciso di aprire un’indagine per capire se si tratti effettivamente di una violazione del diritto internazionale, visto che la Libia non può essere considerato un porto sicuro. «In Libia – spiega Fulvio Vassallo, avvocato ed esperto di diritto delle migrazioni – le persone detenute nei centri di accoglienza, che sono in realtà dei lager, vengono regolarmente torturate e abusate».

Il primo punto da chiarire riguarda le responsabilità: da chi è stata coordinata l’operazione di salvataggio? Secondo il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, che si trova a bordo della nave Open Arms dell’ong spagnola Proactiva, l’allarme è partito da Roma, dal centro di coordinamento dei soccorsi della Guardia costiera italiana. Una versione smentita però dal ministro degli Interni Matteo Salvini, secondo il quale a coordinare l’intervento sarebbe stata la Guardia costiera di Tripoli.

La questione è centrale: se fosse confermato che la nave Asso 28 aveva chiesto il coordinamento dei soccorsi a Roma, e dalla capitale la richiesta fosse stata inoltrata alla guardia costiera libica, le istituzioni italiane dovrebbero rispondere direttamente della propria decisione. In tal caso non sarebbe infatti da escludere l’ipotesi di aver messo in atto un respingimento collettivo, vietato dal diritto internazionale. Di sicuro ora ci sono solo due aspetti: per la prima volta una nave italiana ha riportato il Libia un gruppo di migranti tratti in salvo in acque internazionali, e quindi questa modalità rischia di essere un ulteriore tassello nella politica anti-migranti del governo italiano.

Unhcr e unione europea hanno prontamente ricordato all’Italia come la Libia non possa essere considerato un Paese sicuro per le continue violazioni ai diritti umani dei migranti.

Abbiamo commentato queste notizie con Fulvio Vassallo, avvocato, componente del Collegio del Dottorato in “Diritti umani: evoluzione, tutela, limiti”, presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Palermo, componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) dell’Università di Palermo.

Prima di tutto un parere: l’atto compiuto dalla Asso 28, ovvero riportare 108 persone dalle acque internazionali alla Libia rientra nella fattispecie di “respingimento collettivo”?

Innanzitutto ricordiamo che in Libia le persone detenute nei centri di accoglienza, che sono in realtà dei lager, vengono regolarmente torturate e abusate

Secondo elemento: su questi numeri, parliamo di centinaia di respingimenti nell’arco di un mese, si viola il diritto internazionale ma certamente non si contrasta l’immigrazione irregolare, certamente nessuno potrà aspettarsi che domani davanti a casa sua, davanti al supermercato o davanti alla chiesa ci siano meno migranti di quelli che ci sono oggi.

Questi comportamenti per le Nazioni Unite, per l’Unhcr e per la Commissione europea sono comportamenti che, se i dati forniti saranno confermati, e saranno confermabili in base ai tracciati che sono già in possesso dei mezzi umanitari della nave Open Arms che ha rilevato questa vicenda, io credo che si avrà un’altra condanna dell’Italia. Diciamo che la rottura dei rapporti con l’Ue probabilmente si inquadra anche in un rapporto politico che si vuole instaurare con l’Unione europea e che ci vede andare contro le convenzioni internazionali per creare magari un asse con gli Stati Uniti, garantirsi anche una posizione di preminenza nelle forniture di petrolio rispetto alla Francia che è la principale concorrente in Libia.

Perché si è violato il diritto internazionale?

Perché il respingimento collettivo non permette di vedere se ci sono richiedenti asilo, se ci sono minori non accompagnati, se ci sono donne in gravidanza, quindi di per sé il respingimento di un gruppo di persone è illegale per le convenzioni internazionali.

In questo caso si è realizzato per ordine di chi?

Certamente la nave era italiana, batteva bandiera italiana, queste persone erano già in territorio italiano,  e per le convenzioni internazionali una nave in soccorso in acque internazionali può essere qualificata come luogo sicuro temporaneo. Da questo luogo sicuro temporaneo piuttosto che essere portati in un porto di sbarco sicuro come prescritto dalle convenzioni internazionali, come ribadito dalle Nazioni unite e dall’Unione europea, queste persone sono state portate in un luogo dal quale tra l’altro sono anche scomparse. Voglio anche ricordare che 4 giornalisti, due di France Presse e due della Reuters sono stati arrestati nella stessa serata dell’arrivo dell’Asso 28 nel porto di Abu Sittah, porto militare di Tripoli, dove peraltro era presente anche una nave della nostra marina militare che assiste le motovedette libiche. Questo arresto ci fa pensare che non si volevano neanche i riflettori accesi sopra le vicende successive allo sbarco delle persone che l’Asso 28 ha riconsegnato alle milizie libiche nel porto di Tripoli.

Questo aggiunge ulteriore certezza sul fatto che non possiamo considerare la Libia, o meglio quelle parti di Libia in cui c’è un minimo accesso, come zone sicure. Poi sulla Libia rimane un ulteriore problema, che è quello degli interlocutori, che sono molti e nessuno in realtà abbastanza dotato di una credibilità tale per cui poterci portare avanti un discorso strategico.

Tornando alla vicenda della Asso 28, perché il governo italiano afferma che non ci sia nessuna violazione del diritto internazionale, perché la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 si applica agli Stati e non ai privati. Siamo in una zona grigia?

Assolutamente no, perché gli attori privati evidentemente che fanno soccorsi in acque internazionali si riferiscono sempre ad autorità pubbliche, quindi si vedrà nel prosieguo anche se c’è stato o meno intervento di autorità pubbliche, sicuramente c’è un intervento di autorità pubblica negli accordi stipulati lo scorso anno tra Italia e Libia e guardia costiera libica. Sicuramente c’è una legittimazione di questi accordi e un loro inasprimento con il viaggio che ha fatto il nostro ministro dell’Interno Salvini a Tripoli proprio alla fine del mese di giugno, e c’è sicuramente una componente pubblica, diciamo un decisore pubblico, che ha autorizzato, intimato, coordinato la guardia costiera libica in questa operazione. Voglio ricordare che in una sentenza del gip di Catania relativamente al caso Open Arms lo scorso aprile il giudice sulla base dei dati a sua disposizione emersi dall’indagine ha affermato che il coordinamento della guardia costiera libica sostanzialmente era operato da unità della marina e la centrale decisionale della marina militare italiana. Quindi da questo punto di vista Salvini dovrà esibire le carte, tutti esibiranno le carte, la documentazione e credo che ricostruendo complessivamente le vicende al di là poi della decisione individuale del comandante dell’Asso 28, che ha certamente obbedito alle disposizioni della sua compagnia proprietaria della nave, al di là di questo emergeranno responsabilità di attori pubblici che confermeranno la violazione della Convenzione di Ginevra circa il divieto di respingimento.

E nel frattempo le persone continueranno o a morire in mare o a morire nel deserto o a scomparire in Libia e questo giova ricordarlo, parliamo di persone, non solo di processi.