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Metodisti e anglicani britannici, continua il percorso verso la piena comunione

Dopo la Chiesa d’Inghilterra, che ne aveva discusso a febbraio durante il proprio Sinodo generale, anche la Chiesa metodista della Gran Bretagna riunita nell’annuale Conferenza ha dedicato ampio spazio e energie all’ambizioso percorso che dovrebbe portare ad una piena comunione con il panorama anglicano inglese.

Ciò significherebbe che d’ora in poi, tutti i ministri di culto metodisti non solo diventerebbero pastori ordinati in modo collegiale durante l’annuale Conferenza, ma anche sacerdoti ordinati dal vescovo anglicano. Il presidente della Conferenza diventerebbe un presidente-vescovo e tutti i futuri pastori metodisti verrebbero da esso ordinati. La principale differenza fra le due chiese risiede proprio nella comprensione di come esse devono essere guidate. Le chiese anglicane operano sotto il modello episcopale con i vescovi intesi quali seguaci degli apostoli. Successione apostolica che non è invece parte del panorama metodista, e che ora, con la nuova figura del presidente-vescovo della Conferenza, può essere riconosciuto nell’ordinamento anglicano.

Per un periodo tuttavia gli anglicani dovranno sostenere ad interim una situazione per loro anomala, quella in cui gli attuali pastori metodisti, non ordinati episcopalmente, servirebbero comunque anche la Chiesa d’Inghilterra.

Il documento approvato al termine del dibattito, che offre ampie aperture sull’argomento ma rimanda al 2019 ogni decisione in materia dopo aver chiesto un supplemento di analisi di alcuni dei punti più controversi,  si fonda sulla convergenza teologica stabilita dall’ “Anglican-Methodist Covenant”. Nel 2014 il Sinodo anglicano e la Conferenza metodista avevano dato mandato ai reciproci organi di presentare proposte che permettessero l’intercambiabilità dei ministri di culti ordinati nelle due chiese.

C’è  divisione anche nella Camera dei vescovi della Chiesa d’Inghilterra riguardo alle proposte, che sono state formulate dai gruppi “Fede e Costituzione”  di entrambe le chiese. Il vescovo di Carlisle, James Newcome, ha parlato come ospite  alla Conferenza e ha riconosciuto la mancanza di unanimità all’interno della Church of England:  «Non tutti i miei colleghi condividono il mio entusiasmo per un’Alleanza metodista anglicana. Sono abbastanza sicuro che anche fra voi vi sono sensibilità differenti.  Ma, fratelli e sorelle, vi prego, tutti insieme, di provarci».

Il pastore Gareth J Powell, segretario della Conferenza, ha commentato: «Queste proposte cercano di articolare il terreno comune e dare spazio  alle differenze tra le nostre chiese. Questo non riguarda il fatto che ciascun partner diventi più simile all’altro, ma piuttosto scoprire modalità di essere in un rapporto più stretto con integrità, grazia e generosità. Il cammino verso la riconciliazione è di grande importanza per tutti all’interno delle nostre Chiese, e ci sono molti passi che saranno da compiere da parte di entrambe le chiese mentre continuiamo in questo processo».

Il metodismo nasce proprio da una frattura causata dal pastore anglicano John Wesley nel XVIII secolo, fautore di un movimento di risveglio volto a prestare maggiore attenzione ai problemi sociali della Gran Bretagna alle prese con la rivoluzione industriale. Wesley non aveva intenzione di creare una nuova chiesa, ma piuttosto rinvigorire, risvegliare un anglicanesimo in cui faticava a riconoscersi, tanto che il metodismo si strutturerà come dottrina soltanto dopo la sua morte.

In Italia i metodisti si inseriscono nel risveglio culturale e religioso del Risorgimento, con l’arrivo nel 1859 di William Arthur, segretario della Wesleyan Methodist Missionary Society di Londra. Sebbene originate da missioni estere, le chiese metodiste si interpretarono subito come una componente attiva e dialogante della società italiana. Si riconoscono nella confessione di fede del 1655 e hanno lo stesso ordinamento sinodale-rappresentativo della Chiesa valdese, con la quale hanno messo in atto un processo unico nel suo genere che si è concluso con il Patto di integrazione del 1975 e il Sinodo unico del 1979. Le due chiese, cioè le due tradizioni confessionali, sono mantenute; le comunità che sino al 1975 erano valdesi o metodiste permangono tali, con il loro sistema di nomina dei deputati e la gestione del loro patrimonio immobiliare. A provvedere a quello delle chiese metodiste è nominata un’apposita commissione sinodale (OPCEMI, Opera per le chiese metodiste in Italia).
Unitario è invece il luogo decisionale, il sinodo, dove sono tracciate le linee di impegno e di testimonianza comuni.