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Voyage inside a blind experience

Josef e Anni Albers sono due artisti nati in Germania che si formano nel Bauhaus. A causa della repressione nazista e la chiusura della scuola fulcro dell’avanguardia tedesca, emigrano in America, tra Stati Uniti e Messico, dove resteranno tutta la vita e svilupperanno una parte della loro attività. Josef e Anni sono marito e moglie ma, pur essendo sposati ed essendo entrambi artisti e condividendo gli stessi spazi, non lavorano mai insieme: ognuno segue una propria ricerca e sviluppo artistico. Di sicuro devono essersi confrontati e aver discusso molto perché nella loro produzione si trovano dei punti di contatto, non tanto sotto il profilo espressivo quanto sotto quello della percezione. Entrambi si pongono il problema della necessità di far si che chi si confronta con l’arte possa trovare un approccio olistico all’opera, che non si limiti alla vista ma che possa sviluppare un livello cognitivo più complessivo; per questo fanno opere da toccare e opere da sentire. Favoriti dall’astrattismo e da un’arte non figurativa, trovano nell’utilizzo particolare di materiali molto diversi, anche secondo l’ispirazione delle culture precolombiane americane, il territorio giusto per fare questo lavoro di ricerca. Una ricerca che incontra il pubblico attraverso la mostra di cui ci parla il dott. Daniele Pitteri, direttore dei Musei Comunali della città di Siena.

Quanto centra l’esperienza particolare di questi due artisti, per essere stati scelti per questo tipo di esposizione?

«Partendo proprio da questo si è sviluppata la mostra a Siena, su progetto di Atlanta Servizi Culturali, un’ associazione di giovani storici e appassionati d’arte di Città di Castello che, assieme alla Josef e Anni Albers Foundation, ha immaginato un percorso in cui questo sostrato di percettività che c’è nell’opera di entrambi gli artisti, viene tradotto in un percorso fortemente sensoriale. Ovviamente la mostra è dedicata a tutti ma c’è un approfondimento molto forte rivolto al pubblico non vedente, grazie a una serie di supporti che vanno oltre il Braille, tenendo conto che il Braille è una lingua complicata e la maggior parte dei non vedenti non la conosce. Si lavora sulle forme da percepire col tatto, attraverso le tipologie di materiale, sulle differenze di granature con cui vengono riportati i colori: per esempio il grigio è liscio e il giallo e più ruvido. È un percorso molto interessante che ha richiesto un sacco di collaborazioni: è stato costruito con l’Istituto Ciechi di Milano, che ha realizzato tutta la parte per i non vedenti, con la Fondazione Josef e Anni Albers che ha avuto un ruolo fondamentale non solo nel dare le opere ma anche nella costruzione del percorso. C’è stata la collaborazione anche con una start up che nasce dall’università Iuav di Venezia e che ha sviluppato una particolare audioguida adatta a tutti i pubblici, quindi anche quelli con necessità particolari. È un progetto molto articolato che parte da Siena, dove resterà fino al 4 luglio e poi sarà in Irlanda, a Cork, e successivamente in Croazia, a Zagabria, presso il Museo di Arte Contemporanea».

Si tratta di un percorso innovativo, rispetto anche all’offerta che i musei dedicano al pubblico non vedente?

«È innovativo da due punti di vista: innanzitutto perché in genere i percorsi per non vedenti si fanno nei musei con le collezioni stabili, permanenti e non in occasione di una mostra temporanea. Ovviamente è molto complicato e oneroso sviluppare una parte adeguata e approfondita per i non vedenti; questa mostra è quindi un’eccezione. Al di la di questo è interessante l’approccio, perché si tratta di una mostra in cui tutti gli apparati che sono stati sviluppati per necessità speciali sono in realtà a disposizione di tutto il pubblico: è fondamentale toccare e non soltanto percepire attraverso gli occhi ma anche con le mani e, in una parte del percorso, anche con l’udito. Per esempio si accede alla mostra passando attraverso una camera oscura sensoriale dove si inizia a vedere le opere con il tatto e poi si entra nella parte espositiva in cui le opere sono accompagnate da riproduzioni ma anche originali fatti apposta per essere toccati». Fino al 4 luglio presso gli spazi di Santa Maria della Scala, a Siena.