nelson_mandela_2000_5

Coinvolgere gli avversari in vista di un futuro buono

«Possano le tue scelte riflettere le tue speranze, non le tue paure». Mentre nel Sud Africa dell’apartheid le scelte politiche erano orientate dalla paura o dall’interesse, Nelson Mandela trovava il coraggio di parlare di generosità e speranza: attitudini personali e politiche, attraverso cui il leader sudafricano progettava la riconciliazione fra bianchi e neri nel suo paese.

A cento anni dalla nascita di Nelson Mandela, un libro della filosofa Martha Nussbaum* dedica una importante sezione all’analisi della «non-rabbia rivoluzionaria» del leader sudafricano. La filosofa statunitense affianca la figure di Mandela a quelle di Gandhi e Martin Luther King; la sfera politica in cui si sono mossi i tre leader viene riletta attraverso il filo rosso del sentimento della rabbia: quando questo si insinua nella sfera politica, rende le azioni improduttive. È invece cruciale la transizione verso la «non-rabbia», che significa conquistare gli avversari e coinvolgerli nella costruzione di un futuro buono e comune: proprio Mandela – spiega l’autrice – raggiunse questo obiettivo attraverso una lunga opera di autodisciplina interiore.

La rabbia e la mentalità vendicativa, d’altronde, avrebbero minato il futuro stesso del Sud Africa post-apartheid. Il libro di Martha Nussbaum prende le mosse dal concetto di rabbia, declinandolo nella sfera privata, in quella della vita quotidiana e nell’ambito politico: è un sentimento necessario per combattere l’ingiustizia? Oppure una «malattia» che deforma la vita politica, così come quella personale? Al concetto di rabbia si intreccia quello di perdono, che l’autrice passa al setaccio di alcune tradizioni religiose (ebraismo e cristianesimo) e nei termini della moralità laica. Non tutte le forme di perdono sono eticamente promettenti, sostiene però Nussbaum: in alcuni casi, infatti, celano il desiderio di una giustizia «retributiva», perché esigono contrizione e, di fatto, umiliazione dei colpevoli.

Il perdono invece è efficace se connesso alla generosità incondizionata e gratuita e alla fiducia politica in un futuro comune. Ed è proprio questa la traccia seguita da Mandela. Un filo di continuità unisce – secondo l’autrice – le vicende rivoluzionarie di Gandhi, Martin Luther King e Mandela. I movimenti che questi uomini animarono sono accomunati dal rifiuto della rabbia come strumento di lotta: cosa che non significa acquiescenza o passività. In particolare Gandhi e King – spiega Nussbaum – sono convinti che un movimento rivoluzionario avrà successo se il risentimento sarà sostituito dalla generosità e dall’amore. Si pensi solo al celebre discorso «I have a dream», di Martin Luther King: è un esempio di transizione dalla rabbia, all’indignazione, alla visione di un futuro di immensa bellezza; una descrizione profetica in cui anche gli avversari sono potenziali compagni nella creazione di un domani radioso.

Ma insieme alla continuità, l’autrice riesce a evidenziare anche elementi di discontinuità, fra i tre grandi rivoluzionari. «Gandhi e King – scrive – si richiamano alla metafisica religiosa, parlandoci dell’amore divino (…), riferimenti che sembrano insufficienti a persuadere i cittadini in una società pluralista. In Mandela troviamo qualcosa di più» (p. 332). Dunque che cosa trova in più, Martha Nussbaum, nell’azione del leader sudafricano, attivista che ha trascorso quasi tre decenni in carcere, Nobel per la pace, presidente del suo paese nel post-apartheid? Per comprenderlo, bisogna guardare al lavoro della nota «Commissione per la verità e la riconciliazione», organismo che tentò di ricucire le sorti di un paese dilaniato. La sua struttura prevedeva la ricostruzione della verità: le persone erano chiamate a testimoniare, chi aveva perpetrato crimini era chiamato ad ammetterli, con la promessa di un trattamento dignitoso e di una amnistia. Peraltro la Commissione indagò anche i crimini commessi da membri dell’African National Congress, il partito di Mandela, e da altri rivoluzionari. I procedimenti furono numerosissimi, ma questi non miravano né all’umiliazione né alla richiesta di perdono da parte dei colpevoli; questi erano chiamati invece a diventare parte integrante, attiva e riconciliata della nuova società sudafricana.

Verità, ammissione della colpa, generosità aperta al futuro. Questi i capisaldi della Commissione e, secondo Martha Nussbaum, anche i presupposti dell’azione rivoluzionaria di Mandela, che l’autrice svincola dalla visione cristiana del perdono. Egli credeva che solo la generosità gratuita e aperta al futuro avrebbe condotto il suo popolo verso la riconciliazione. Richiamando il titolo del celebre libro dell’arcivescovo Desmond Tutu (uno dei principali architetti della Commissione), l’autrice conclude: «Invece del suo titolo, Non c’è futuro senza perdono, vorremmo proporre Non c’è futuro senza generosità e ragione» (p. 357).

* Martha C. Nussbaum, Rabbia e perdono. La generosità come giustizia. Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 416, euro 28,00.