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La bulimia culturale e l’importanza del «ruminare»

Da un articolo di giornale ho tratto spunto per una riflessione sulla tendenza della società moderna che ha riflessi anche sulla vita spirituale. L’autore, citando l’articolo di una studiosa francese, notava come in campo culturale si verifichi un fenomeno analogo a quello che si riscontra nel campo del cibo: una vera e propria obesità o bulimia culturale.

Si assiste infatti a una produzione libraria, a cui corrisponde invece una tasso di lettura mediocre, si moltiplicano i seminari, gli incontri, i festival, le mostre affollate, un vorticare di iniziative che sembra rispondere, più che a un bisogno di informazione e di stimoli culturali, al bisogno di riempire un vuoto. Questo aspetto della nostra modernità è meritevole di riflessione ma lo è ancor più per noi credenti l’interrogativo se un fenomeno analogo non si verifichi anche in campo spirituale. Non potrebbe cioè diffondersi la convinzione che l’accrescersi degli stimoli aumenti la qualità del credere? Che l’accrescersi delle informazioni migliori la qualità della fede? Applicare alla fede la legge di mercato: l’offerta di beni di consumo accresce la domanda?

Non ho risposte, ma una riflessione mi è suggerita dal salmo 1, dove si legge «beato l’uomo [cioè il credente] che medita giorno e notte la legge [cioè la Scrittura]». Meditare è oggi un verbo che attiene al mondo religioso, alla fede, alle cose di Dio. Meditano i guru indù, gli anacoreti del monte Athos, in realtà il termine indica una attività fra le più materiali: il ruminare dei bovini. Soltanto un teologo nella storia cristiana ha osato mantenere il termine originale, traducendo «ruminare la legge»: è Olivetano, nella Bibbia dei valdesi.

Rumini quello che hai già ingerito ma deve essere assimilato, lo conosci ma deve diventare tuo. Quella che potrebbe definirsi «rimasticatura meditata» è necessaria per due motivi. Anzitutto perché i dati, i pensieri, le immagini che fanno parte del patrimonio spirituale, e giacciono inerti nell’anima nostra, devono continuamente riprendere vita. Affermare che Gesù è mio salvatore significa enunciare un pensiero chiaro, ruminarlo significa farlo entrare nel circuito dell’esistenza, diventare sangue nelle vene.

Il secondo motivo sta nel fatto che tutti, anche i credenti, cambiano nel corso della vita, nessuno è oggi quello che era tre anni fa, quello che sapevi, credevi, vivevi allora va riformulato per restare vivo. L’evangelo è vita, certo, e indipendentemente da noi, ma paradossalmente se non è ruminato diventa opaco, rigido, peso morto, è lui che ci dà la vita ma siamo noi che lo manteniamo vivo.

Immagine: via Pixabay