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Una Federazione luterana in salute, con molte sfide da vincere

«È questa la seconda Assemblea della Federazione luterana mondiale (Lwf) che si svolge in Africa. Quarant’anni fa, quando ci riunimmo in Tanzania, il tema dell’indipendenza coloniale era una piaga aperta, se non addirittura un miraggio lontano, come ad esempio per la Namibia, dove a essere realtà era l’apartheid. Oggi che molta acqua è passata sotto i ponti, siamo qui ad ammirare la forza vibrante delle chiese che nella regione ricoprono un ruolo sempre più importante». Sono le parole del segretario generale della Lwf Martin Junge, che stamane nel proprio discorso ufficiale ha fatto il punto sullo stato di salute del movimento luterano nel mondo. 145 chiese membro, «145 campane che suonano ognuna con il propri timbro e il proprio stile, ma che al contempo compongono una bellissima sinfonia collettiva. Nessuna chiesa deve pensare a se stessa come a una campana isolata, nessuna deve pensare di non poter fare la differenza perché magari troppo piccola o per altri motivi. E al contrario nessuna deve sentirsi troppo forte, capace magari di suonare da sola, perché a patirne sarebbe l’intera orchestra».

Junge ha poi compiuto una lunga ricognizione su tutte le sfide che hanno visto la Federazione luterana impegnata in questi anni, in primis in ambito diaconale, fra l’assistenza ai migranti e ai rifugiati, gli interventi umanitari in aree di guerra o in zone colpite da carestie dovute ai cambiamenti climatici. Uno sforzo che si concreta oggi in 24 nazioni, fornendo aiuto a circa 2,4 milioni di persone in difficoltà, dall’Iraq alla Siria, dalla Giordania a molti Stati africani.

Il segretario generale è poi tornato sui documenti approvati dalla pre-assemblea giovanile e da quella delle donne, sottolineando l’impegno dei primi soprattutto sul fronte della tutela del Creato (significativa la partecipazione di una delegazione alla Cop21 sul clima di Parigi nel 2015), e non tacendo le difficoltà delle seconde, in alcune nazioni, ad accedere ai vertici apicali della chiesa, o semplicemente a esercitare il proprio ministero: «ma molti passi sono stati fatti, se oggi 119 chiese membro della Lwf su 145 ordinano donne pastore, una percentuale dell’82% dei nostri associati. Nessuno nella nostra chiesa si riferisce più alle parole di Giosuè 10,13 per affermare che la Terra sia al centro dell’universo. Al contempo altri passi del testo biblico non vanno piegati per sottolineare come solo gli uomini possano accedere al ministero pastorale. Le nostre devono essere sempre parole di inclusione, mai più di esclusione».

La comunione luterana continua a crescere, in sette anni i membri sono passati da 70 a 74 milioni, ed è proprio l’Africa a registrare i progressi più significativi, in particolare in nazioni quali l’Etiopia e la Tanzania. Non mancano paesi in cui il trend è però opposto «ed è davanti a queste sfide che la chiesa deve sapersi rinnovare, sfidare il secolarismo, sfidare il multiculturalismo, tornando a essere luogo di accoglienza e di ascolto».

Dal punto di vista delle relazioni ecumeniche e interreligiose Junge si è soffermato a lungo sul documento comune cattolico-luterano sulla Dottrina della Giustificazione, datato 1999, e fatto proprio dal 2006 dal Consiglio metodista mondiale, dal 2016 dalla Comunione anglicana e che nel luglio di quest’anno, a Wittenberg, verrà sottoscritto anche dalla Comunione mondiale delle Chiese riformate. Applausi convinti hanno sottolineato questa notizia.

Un’ampia ricognizione dunque, su una Federazione che appare sostanzialmente in salute, sia finanziaria sia quanto a idee e motivazioni, pronta per la sfida di un nuovo settennato. In attesa di un nuovo presidente che verrà eletto sabato, e che per la prima volta potrebbe, secondo i rumours, provenire dall’Africa, segnale del peso specifico che il continente riveste oggi all’interno della Lwf.

Immagine: il segretario generale della Lwf Martin Junge; foto di Claudio Geymonat, Riforma.it