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Né stranieri né ospiti

Viene dal Ghana il pastore metodista Dominic Kofi Danso, giunto a Bologna tramite la Comunità delle chiese in missione (Cevaa) per dare fiato e gambe al progetto che la Tavola Valdese ha ideato nello spirito dell’«Essere Chiesa Insieme». Lui, sua moglie tre dei suoi cinque figli (dieci, tre e un anno e mezzo d’età) abitano dal settembre scorso in via Marconi in un appartamento messo a disposizione dall’Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia (Opcemi), ma il lavoro che il pastore è chiamato a intessere comprende 19 chiese del nord Italia: comunità che dal punto di vista numerico e anagrafico stanno rifiorendo anche grazie all’afflusso di credenti stranieri. Istituita nel 2000 dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Commissione «Essere chiesa insieme» – che da quest’anno fa parte della più ampia Commissione Studi Dialogo e Integrazione (Cosdi) – cerca da tempo di affrontare con creatività i cambiamenti imposti dalla crescente presenza di immigrati protestanti nel paese: un fenomeno del nostro tempo, che rappresenta una sfida non solo per le sorelle e i fratelli stranieri, ma anche per i membri di chiesa italiani, che vivono il cambiamento dalla loro prospettiva.

«Ero stato a Milano e a Roma, mai a Bologna, non conoscevo la città – racconta Danso in inglese, specificando però che l’italiano lo sta studiando –. Vengo da Koforidua, nel sud-est del Ghana, non troppo lontano da Accra; là sono stato pastore per 9 anni, ma io sono nato nell’ovest del paese, dove mi sono laureato in teologia». Vivendo nel capoluogo emiliano, Danso collabora anzitutto con il pastore Charbonnier e con la chiesa metodista di Bologna – frequentata, mi racconta, da ghanesi e da tante altre nazionalità africane e non – ma ogni settimana viaggia, per prendere contatto con diverse realtà «miste». «Negli ultimi mesi – racconta Danso – sono stato a Verona, Parma, Modena, Vicenza. Ho in programma di visitare Brescia, Bergamo, Novara. In prospettiva il mio lavoro è quello di fungere da mediatore, da anello di congiunzione tra le comunità ghanesi, africane o più in generale straniere e la società e le chiese italiane. Sono due movimenti in uno: tramite la mia persona le comunità italiane dovrebbero conoscere meglio i nuovi arrivati e i nuovi arrivati prendere parte alla vita delle chiese esistenti, senza costruire ghetti religiosi. Io non sono qui per i ghanesi o per gli italiani, sono qui per entrambi».

Al fianco di Dominic Kofi Danso c’è Richard Kofi Ampofo, che in qualità di responsabile Opcemi coordina il lavoro del connazionale. «Si tratta di un progetto importante, che ha il coraggio di guardare in faccia alla realtà: perché è molto difficile che un pastore italiano comprenda da solo tutte le culture africane con cui oggi si trova a relazionarsi. “Essere chiesa insieme” chiama per nome le difficoltà, e si pone il problema di risolverle, guardando al futuro. È un progetto di lungo periodo, pensato per le nuove generazioni, che non vogliamo vivano separate, nemmeno nell’esperienza di fede. Anche se protestante – prosegue Ampofo – un ghanese che entra in una chiesa valdese o metodista italiana difficilmente si sente a casa: assiste ad un culto italiano, perché lo è. È in quel momento che deve subentrare la mediazione, per non scindersi e per essere, appunto, “Chiesa insieme”. Questo è il difficilissimo lavoro che il pastore Danso ha appena cominciato, devo dire con enorme energia».

Iniziato lo scorso ottobre, il progetto è di quattro anni, con possibilità di prolungamento a sette. «Sto muovendo i primi passi, per poter integrare prima devo integrarmi io – scherza Danso –. Ora come ora affianco i pastori locali predicando in inglese; ma conto, presto, di farlo in italiano». Alla domanda su come si stiano trovando i suoi figli in Italia, Danso si limita a sorridere. Per lui risponde Ampofo: «te lo dico io, sono straniti. Nel nostro paese i piccoli escono e corrono insieme in strada, vista da un africano la società europea è chiusa e individualista. Quando li vedo mi si stringe il cuore, mi ricordo di quando ero bambino io. L’incontrarsi ha i suoi sacrifici, da entrambe le parti».