lampedusa_sgerlando_spuc-600x338

Uniti oltre le divisioni. Anche quelle dei muri

Termina oggi la “Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani”, promossa congiuntamente da diversi anni dal Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) e dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (Pcpuc). Il testo di riferimento di quest’anno era L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione, da II Corinzi 5: vv 14-20.

Per la prima volta, la celebrazione si è svolta anche sull’isola di Lampedusa, dove le chiese evangeliche sostengono l’osservatorio Mediterranean Hope. «Questo è stato il primo anno in cui a Lampedusa abbiamo celebrato la Settimana per l’unità, anche se non è il primo evento ecumenico che avviene sull’isola – racconta Marta Bernardini, dell’osservatorio MH –. Nella nostra intenzione avremmo voluto essere, oltre che ecumenici, anche interreligiosi, magari potendo ospitare le persone che si trovano nell’hotspot dell’isola, quindi anche di religioni diverse. Ma non c’è stata l’occasione, anche se il nostro pensiero sicuramente era rivolto a tutti coloro che transitano da qui».

Qual è il rapporto dei migranti e la religione sull’isola, per la vostra esperienza?

«Questo è un aspetto che ci capita spesso di affrontare, anche come caratteristica propria di Mediterranean Hope: essendo un progetto della Federazione delle Chiese Evangeliche ha una forte sensibilità di fronte a questo tema. L’isola è attraversata da diverse religioni e non c’è sempre una risposta completa. Nell’hotspot il servizio religioso viene offerto raramente, soltanto quando in momenti speciali si può entrare all’interno del centro. Noi siamo sempre disponibili a indirizzare le persone alle varie realtà che ci sono sull’isola e a parlare con loro anche della loro fede e della loro spiritualità. Spesso, per esempio, i cristiani hanno la possibilità di ricevere una Bibbia in lingua. Nel tempo è anche avvenuto che le persone musulmane partecipassero a momenti di preghiera cristiana per condividere un momento di spiritualità».

La celebrazione è avvenuta nella chiesa di San Gerlando, famosa per l’ospitalità che ha dato ai profughi e per altre celebrazioni interreligiose…

«Sì, a Lampedusa c’è una sola chiesa cattolica, nella piazza centrale, un luogo che è sempre stato molto attivo e che come Federazione delle chiese evangeliche ci ha accolto subito molto fraternamente; da sempre ha lavorato in modo semplice ed ecumenico, sia per le celebrazioni annuali, come la giornata di ricordo delle vittime del 3 ottobre 2013, ma anche per momenti di incontro e accoglienza dei profughi. In questo luogo ci sono incontri del Forum Lampedusa Solidale, un gruppo di volontari che è si occupa della situazione dei migranti sull’isola, distribuiamo i vestiti, distribuiamo le Bibbie dove è richiesto, e sempre qui sono stati accolti i profughi in protesta contro il centro di accoglienza. Insomma, un luogo che ha accolto tutti, non solo fratelli e sorelle cristiani».

Quanto è attuale il tema della riconciliazione, al centro dell’edizione di quest’anno?

«Penso che il tema di quest’anno fosse particolarmente calzante. Tutto il mondo ha bisogno di riconciliazione: a inizio settimana il testo riportava proprio a questa riflessione. Tutti noi dobbiamo essere ambasciatori di riconciliazione e prenderci l’incarico di essere portatori di pace e di giustizia, costruttori di ponti per abbattere l’isolamento e la pressione sotto cui molte persone vivono. È un’occasione per ricordarci il mandato che abbiamo come credenti e come cittadini consapevoli in un mondo in cui i muri sono ovunque, anche molto vicino a noi: non dobbiamo demordere e dobbiamo sentirci chiamati ad abbatterli. Leggere questa parola di riconciliazione da Lampedusa è stato significativo, soprattutto visto che parte dei nostri colleghi si trovano in Libano per il progetto dei corridoi umanitari per portare a fine mese nuove persone in Italia. Anche quello è un contesto dal quale non dobbiamo farci sopraffare, ma farci spingere dall’amore in Cristo».

Foto via Nev