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Fine vita: la strada fatta e la strada da fare

 Nel 2006 Piergiorgio Welby, poeta, scrittore e pittore malato di distrofia muscolare, chiese al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il diritto all’eutanasia, senza successo. Il 20 dicembre di quell’anno morì grazie all’aiuto di un medico, Mario Riccio, indagato e poi prosciolto. Welby diventò simbolo della battaglia per il diritto del malato a rifiutare l’accanimento terapeutico, primo di una serie di scelte di libertà dei malati italiani tra le pieghe della burocrazia e del rispetto dell’articolo 32 della Costituzione. Quali diritti in termine di fine vita sono stati conquistati in questi anni? Ne parliamo con Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e promotore della campagna Eutanasia legale che è sfociata in una proposta di iniziativa popolare depositata tre anni fa in Parlamento.

Cosa è cambiato a dieci anni dalla lotta e dalla morte di Welby?

«In questo periodo è sicuramente cambiata la giurisprudenza. Welby non ottenne dal tribunale di Roma ciò che chiese, ovvero un’autorizzazione preventiva all’eutanasia, nel rispetto del principio costituzionale per cui ciascuno possa rifiutare delle terapie. Attraverso molti casi, pubblici e non solo, in questi dieci anni si è affermata una giurisprudenza che è arrivata fino al caso di Walter Piludu, nel quale poche settimane fa il tribunale di Cagliari ha ordinato all’Asl di procedere alla sedazione e al distacco dal respiratore, come richiesto dal paziente. Questo è stato il primo risultato ottenuto nelle lotte di questi dieci anni. Il secondo è l’ordine del giorno in Parlamento sul testamento biologico. L’eutanasia è ferma, ma per il testamento biologico si è svolta l’audizione della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati. A questo punto è stato approvato all’unanimità un testo unificato in Commissione e se la legislatura andrà avanti qualche mese in più, ci potrà essere una assunzione di responsabilità da parte dei parlamentari sul testamento biologico. Ma questo potrebbe non accadere, dunque staremo a vedere».

È più difficile far discutere i parlamentari di eutanasia piuttosto che di testamento biologico?

«Per l’opinione pubblica non c’è quasi differenza: questo non perché sia confusa, come si potrebbe immaginare, visto che è più saggia, perché le definizioni che si attaccano al fine vita, ovviamente utili per distinguere le pratiche, non negano l’eutanasia, cioè la “buona morte”, come modalità che vogliamo per terminare la nostra vita, senza soffrire. Il punto è questo, se siamo liberi o no di scegliere fino alla fine. Il testamento biologico spaventa di meno il ceto politico perché riguarda una prosecuzione della Costituzione per quando non saremo in grado di intendere e volere: ecco perché è più realistico immaginare che entro la fine della legislatura, se mai ci fosse un accordo, sarebbe proprio su questo tema».

Anche perché secondo una vostra ricerca il 77% degli italiani è favorevole a una legge, vero?

«Sì, un sondaggio di Swg che abbiamo commissionato va nella stessa direzione di altri, come quelli di Eurispes che ci parla di un 60% di favorevoli. Addirittura, in un sondaggio annuale il Gazzettino del Nord Est accredita il 75% di elettori della Lega Nord favorevoli a una legge, per sottolineare la trasversalità di questo tema. Non abbiamo mai visto analisi in controtendenza finora e questo ci porta a un problema di democrazia: come è possibile che un tema così importante per l’opinione pubblica non lo sia per il nostro Parlamento? Sarebbe importante non arrivare per ultimi tra i paesi europei».

Cosa è possibile ottenere, verosimile, in prospettiva?

«Il contenuto del testo approvato in Commissione è positivo, riconosce l’idratazione e la nutrizione artificiale come delle terapie, che dunque possono essere rifiutate, e anche la natura vincolante delle disposizioni del paziente per il medico. Ci sono elementi che dovranno essere aggiunti, come la pratica della sedazione profonda, come in Francia, per i malati di cancro, soprattutto. Questo nucleo di proposte ha in sé il minimo indispensabile sia per un consenso in Parlamento sia per far progredire la libertà di scelta in Italia. La nostra legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione dell’eutanasia sarà valida per due legislature, dunque sarà sul tavolo nella prossima».

Immagine: CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1474292