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Accusato di blasfemia il governatore cristiano di Giacarta

Essere parte di una minoranza cristiana spesso non è facile, soprattutto se sei nel paese più popoloso al mondo a maggioranza musulmana: lo sa bene il governatore di Giacarta, Basuki Tjahaja Purnama, sotto inchiesta per blasfemia, con l’accusa di avere insultato il Corano in pubblico. Guai seri per “Ahok”, come viene chiamato Purnama per le sue origini cinesi, perché l’annuncio della polizia arriva dopo una manifestazione a cui hanno partecipato oltre centomila persone, che chiedevano appunto il suo arresto per le parole che avrebbe pronunciato durante un comizio. Purnama infatti, a capo della città di Giacarta dal novembre 2014, è in corsa per le elezioni del prossimo febbraio, che dovrebbero confermare il suo mandato.

Purnama è il secondo governatore della metropoli ad essere cristiano: il primo era stato Heng Ngantung nel 1964. Non è difficile immaginare la diffidenza dei radicalisti islamici, soprattutto perché Ahok, classe 1966, non ama i doroteismi ed è abituato a parlar chiaro. E proprio il fatto che abbia detto che gli ulema sbagliano a interpretare un versetto del Corano, quando affermano che un musulmano può eleggere soltanto un dirigente della sua stessa fede, ha irritato non poco i partigiani di una linea dura dell’Islam, fra cui il gruppo Fronte della Difesa dell’Islam, che ha appunto chiesto al presidente Widodo di farlo arrestare.

Vista la polemica seguita alla sua affermazione, il governatore si è poi scusato pubblicamente, ma il gesto non è bastato a raffreddare gli animi. Il fatto che Ahok sia considerato ufficialmente un sospettato di blasfemia lo mette in una posizione pericolosa, perché significa che le autorità hanno già raccolto diverse prove a suo carico; secondo i dati raccolti da Amnesty International, ci sono stati 106 processi per blasfemia dal 2004 al 2014 e diversi imputati sono poi finiti in carcere con pene fino a cinque anni di reclusione. Ad oggi la polizia non ha ordinato l’arresto del governatore ma gli ha vietato di lasciare il Paese ed ha inoltre raccomandato che il processo si svolga a porte aperte.

L’accusa ad Ahok è appesantita poi dalle tensioni etnico-religiose ricorrenti nel paese che hanno già provocato non solo la demolizione di luoghi di culto cristiani, sotto pressione degli estremisti musulmani, ma anche molte manifestazioni contro i cinesi, che rappresentano il 10% della popolazione e durante gli anni del governo di Suharto sono stati accusati di far affari con la famiglia del dittatore.