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La Social Utopia di Ameno (No)

Ameno è un piccolo borgo nelle colline tra il lago d’Orta e il lago Maggiore. Qui un gruppo di artisti residenti ha cominciato un percorso per far avvicinare la popolazione locale all’arte contemporanea. Un progetto ambizioso che vuole creare uno spazio di dialogo e di scambio aperto a ogni tipo di sperimentazione artistica. Ameno è il centro di questo progetto e dove si svolge il festival Studi Aperti e Andrea Grotteschi è uno dei curatori di questa rassegna.

Com’è nata questa manifestazione?

«Si tratta di una manifestazione che giunge alla dodicesima edizione. La prima è stata nel 2005, pensata da un gruppo di artisti che risiedeva ad Ameno, soprattutto Enrica Borghi che è anche la presidente dell’associazione Asilo Bianco.

Questi artisti hanno deciso di aprire i loro studi per dare vita a un’iniziativa che è diventata la base per la strutturazione del festival: sono stati invitati sempre più artisti ed è stata aperta la sezione Paesaggi Mirati, dedicata all’architettura e al design. Durante i tre giorni di Studi Aperti vengono proposti eventi, incontri e workshop».

Perché aprire gli studi d’arte ai visitatori?

«In questi ultimi mesi abbiamo riflettuto molto su quello che è stato il percorso che ha portato a questo gesto: noi lo vogliamo pensare come un momento di arte relazionale e partecipata, un momento in cui il pubblico, gli artisti e gli addetti ai lavori hanno la possibilità di incontrarsi, scambiare opinioni e dialogare. Un modo per avvicinare il pubblico all’arte contemporanea, che a volte rimane in un sistema chiuso. Questa è la sfida che vogliamo lanciare».

Il tema di quest’anno è Social Utopia. Progetti e visioni tra impegno sociale e creatività. Come è stato scelto e pensato?

«Già l’anno scorso, alla luce di alcune riflessioni un po’ più teoriche che avevamo fatto, è stato scelto questo tema, quindi abbiamo deciso di portarlo avanti perché ci interessava proporre un festival che avesse la possibilità di realizzare concretamente una piccola utopia: quella di dar vita a uno spazio temporale di tre giorni dedicati alla condivisione, al confronto e al dialogo. È una piccola visione che ci piace proporre per un breve lasso di tempo nella speranza che poi resti qualcosa anche a chi fruisce di questa iniziativa.

Avvicinare il mondo del sociale a quello dell’arte contemporanea può funzionare quando vengono proposti dei progetti che hanno la capacità di avvicinare le persone all’arte, quando si riesce a far vedere come l’arte contemporanea, ma anche l’architettura e il design, abbiano un forte impatto sulla vita quotidiana delle persone. Possono diventare uno strumento in grado di cambiare la società, almeno parzialmente».

C’è bisogno di insegnare e di capire l’arte contemporanea?

«Non è sempre facile, specialmente quando viene proposta a molti. Soprattutto all’inizio va spiegata, ma poi solitamente il pubblico, quando riesce a entrare nel meccanismo e capire quali sono le piccole regole che stanno alla base di questo processo che è l’arte contemporanea, la capisce molto bene e si sente anche coinvolto.

In questo percorso abbiamo previsto delle sezioni tematiche e dei dibattiti, che si svolgeranno presso la biblioteca del museo cittadino. È previsto un incontro con Marco Ferreri, un architetto che presenterà, proprio sul tema della Social Utopia, la Casetta del Viandante, una struttura che può essere adattata a percorsi montani e dove i viandanti possono fermarsi lungo il cammino. Avremo una serie di workshop tra cui uno presentato da Enrica Borghi che si chiama 24hours, la realizzazione di un’opera d’arte collettiva, che durerà tutto il week end e a cui tutti possono partecipare. Anche questo è un modo per avvicinare e far toccare con mano l’arte contemporanea al pubblico. Le attività e gli appuntamenti ovviamente sono molti, basta cercarli sul sito studiaperti.it».

Immagine: Di Alessandro Vecchi – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16971705