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80 musulmani battezzati ad Amburgo

Oltre 80 rifugiati musulmani, provenienti dall’Iran e dall’Afghanistan, si sono convertiti al cristianesimo e sono stati battezzati giovedì scorso nel parco di Amburgo: i neofiti, vestiti di bianco, sono stati immersi nelle acque del lago cittadino.

Questo è solo l’ennesimo episodio di un trend che vede in aumento le conversioni al cristianesimo di profughi arrivati in Germania alla ricerca forse di un Dio più misericordioso, sicuramente di un requisito per ottenere più facilmente lo status di rifugiato e il sospirato asilo.

«Molti cambiano fede per lo stesso motivo: sono delusi dall’Islam» afferma Albert Babajan, pastore della Comunità evangelica iraniana di Amburgo che ha celebrato la maggior parte di questi battesimi. Sarebbero finora 196 i musulmani battezzati nel 2016 e si prevede che questo numero raggiunga le 500 unità entro la fine dell’anno. Il fenomeno si registra anche in altre città tedesche: a Berlino la chiesa evangelica luterana della Santissima Trinità ha battezzato 185 rifugiati nel 2015 e i corsi di catechismo organizzati per quest’anno sono pieni.

I neoconvertiti, che arrivano al battesimo dopo aver frequentato dei corsi biblici di diversi mesi, affermano che nell’Islam hanno sempre vissuto nella paura: paura di Dio, del peccato e della punizione, e che nell’incontro con la figura di Cristo hanno invece scoperto il volto di un Dio d’amore.

Rimane il sospetto che il vero motivo che spinge queste persone a battezzarsi sia il fatto che il passaggio al cristianesimo possa influenzare positivamente la procedura d’asilo ed evitare un rimpatrio forzoso. Per le autorità tedesche che si occupano di immigrazione infatti la protezione va data prima di tutto a coloro che – se tornassero ai loro paesi di origine – rischierebbero di essere perseguitati a motivo della loro conversione. In Iran e in Afghanistan, ad esempio, gli apostati devono affrontare la pena di morte.

Come si fa però a stabilire oltre ogni dubbio le vere ragioni della conversione?

Babajan, in un’intervista alla rivista Stern, ha affermato di aver rifiutato il battesimo a molti che apparivano non sinceri. Il pastore non chiede ai neoconvertiti brani della Scrittura a memoria, ma piuttosto in che modo la fede cristiana ha cambiato il loro modo di pensare e la loro visione del mondo. «Se qualcuno mi dice che può perdonare un vecchio nemico, allora so che nel suo cuore egli è un cristiano».

Intanto le autorità statali che decidono sulla concessione dell’asilo pongono ai rifugiati dei veri e propri test con domande del tipo: «quali sono i dieci comandamenti?», «quanti giorni intercorrono tra Pasqua e Pentecoste?». Critiche a questa prassi vengono soprattutto dalla Chiesa protestante tedesca che, opponendosi a questi «test di fede», si è dotata di una serie di linee guida che dovrebbero aiutare i pastori ad affrontare il fenomeno delle conversioni in maniera responsabile.

Come discernere il sincero cammino di fede dalla pur legittima volontà di integrazione o addirittura dalla speranza che la nuova «identità cristiana» possa favorire l’ottenimento dello status di rifugiato? La conversione sarebbe dettata dalla sincerità o da motivi opportunistici? Forse poco importa alle migliaia di uomini e donne che, con i loro bambini, si sono messi in viaggio attraverso il deserto e, sfidando il mare su improbabili carrette, sono riusciti sani e salvi ad approdare in Europa dove cominciare a vivere un’esistenza migliore.