20160123_162956

I diritti o sono per tutti o sono privilegi

Dopo infinite polemiche approda finalmente in aula questa settimana il Disegno di Legge sulle “unioni civili e le convivenze di fatto”, il cosiddetto Ddl Cirinnà.

Se approvata, la riforma andrà innanzitutto a sanare un imbarazzante vuoto legislativo tutto italiano, fornendo un quadro giuridico in cui inserire le convivenze di coppie etero ed omosessuali.

Il Disegno di legge e’ diviso in due sezioni distinte: nella prima viene creato un nuovo istituto giuridico rivolto solamente alle coppie omosessuali, denominato unione civile; che non è quindi il matrimonio, dal quale si differenza per l’assenza di alcuni diritti e doveri. Un box in calce all’articolo ne tratteggia gli aspetti salienti.

Offuscati dalla battaglia ideologica sulla prima parte del Disegno di Legge, viene trascurata la seconda sezione, che invece contiene un’altra importante novità, se possibile ancora più tardiva e comunque non ancora completa: l’istituzione della convivenza di fatto, valido sia per eterosessuali che omosessuali. Non un matrimonio quindi, non un’unione civile, ma un patto fra «persone unite stabilmente da legami affettivi di coppia o reciproca assistenza». Per queste nuove realtà, che finalmente trovano un quadro giuridico  a sancirne l’esistenza, sono previsti stessi diritti rispetto al matrimonio nei temi di assistenza in caso di malattia, morte, carcerazione, ponendo anche qui fine alla vergogna delle moltissime convivenze  rivelatisi di valore nullo di fronte alla fredda burocrazia. Questo secondo aspetto del Ddl dovrebbe forse spaventare più le gerarchie cattoliche rispetto al primo, dal momento che viene creato un nuovo legame che, riprendendo i vincoli salienti  del matrimonio, depotenzia certamente quest’ultimo, perché va a rinsaldare una tendenza secolarizzante all’unione fra due persone in atto oramai da anni. Tanto che si verrebbe tentati di pensare che la crociata contro le unioni civili e le adozioni omosessuali venga invocata strumentalmente, certi di trovare sul punto un’opinione pubblica e una classe politica non cosi compatta e avanzata sul tema, affossando in questo modo l’intera legge, compresa la seconda parte.

Il panorama delle chiese battiste, metodiste e valdesi, seppur con sensibilità differenti, appare anni luce distante dalle polemiche in atto, avendo avviato da molti anni un percorso che ha portato prima al pieno riconoscimento di ministri di culto indipendentemente dal sesso e dalle preferenze sessuali e quindi concedendo la possibilità alle singole comunità di procedere alle benedizioni delle coppie omosessuali e dei loro figli. La pastora Mirella Manocchio, membro della Commissione Famiglie delle chiese valdesi e metodiste, ricorda che «l’ultimo Sinodo  ha accolto un documento che offre un approccio su vari livelli: pastorale, giuridico, teologico, in maniera tale da fornire un quadro il più esaustivo  possibile rispetto alle differenti forme di genitorialità e di relazione, comprese le liturgie riservate alle nuove tipologie di unioni fra coppie dello stesso sesso, o di coppie di sesso diverso che non intendono sposarsi ma invocare la benedizione del Signore per la loro relazione». Non si tratta di discutere la centralità del matrimonio «ma si tratta piuttosto di includere altre forme di unioni, riconosciute, accompagnate e sostenute da una comunità che si prende cura non solo dei membri adulti ma anche e in particolar modo dei membri più giovani».

Il tema delle adozioni dei figli del partner nelle coppie omosessuali ha suscitato le maggiori polemiche, ma appare una falsa questione come spiega Piercarlo Pazé, magistrato, già procuratore della Repubblica per i minorenni per il Piemonte e la Valle d’Aosta, impegnato per molti anni nella formazione degli operatori dell’adozione e membro della Commissione diocesana per l’ecumenismo della diocesi di Pinerolo riconosce che «l’istituto della stepchild adoption nel nostro paese c’è già per i coniugi, ognuno dei quali può diventare genitore adottivo del figlio, biologico o adottivo, dello sposo. Secondo un orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, va assicurata anche al partner omosessuale la possibilità di adottare il figlio del o della convivente. È comunque senz’altro meglio che, nella legge sulle unioni civili, si regolamenti la materia, piuttosto che lasciare decidere su casi singoli, come accade al momento, i giudici i quali possono prendere indirizzi diversi se non addirittura opposti. Qualsiasi testo di legge nel determinare i criteri per queste adozioni dovrebbe però espressamente porre come condizione l’interesse, o meglio il benessere del bambino».

Marco Scarpati, avvocato minorile, specialista nel ramo adozioni, una vita spesa fra Asia e Africa in progetti a favore dei bambini, denuncia l’ipocrisia del dibattito: «mi chiedo il perché di questo vociare sguaiato attorno ad un tema, quello dell’adozione, che in sostanza esiste già, con norme precise, che sempre pongono il minore al centro del ragionamento. Le regole ci sono da trent’anni». Il dibattito appare quindi straniante, focalizzato su spettri non esistenti, anche perché  «i diritti o sono per tutti o sono privilegi. E’ abbastanza ovvio che i discorsi sui diritti riguardino prettamente le minoranze, perché le maggioranze non ne hanno bisogno, hanno già quadri giurisprudenziali in cui muoversi. Vale in questo caso lo stesso discorso che viene fatto per le minoranze religiose per cui si sono combattute battaglie per vederne riconosciuto il diritto all’esistenza, perché le religioni della maggioranza hanno già accordi primari con lo Stato e non sentono queste urgenti necessità. Se partiamo dal principio che certi diritti non sono validi perché non sentiti come prioritari dalla maggioranza siamo alla pura follia».

Ora non resta che il responso del Parlamento.

Ultimo cavillo cui si sono aggrappati questi moderni Azzeccargarbugli che tentano ogni via per legittimare il «non s’ha da fare» d’OltreTevere  è il voto segreto, lasciando gli onorevoli alla presa solo con la propria coscienza e non con il pubblico ludibrio. Ma se, parafrasando un vecchio slogan elettorale, è vero che nel segreto dell’urna il buon Dio ci vede, il cardinal Bagnasco, forse, no.

UNIONI CIVILI       

Le coppie omosessuali che sceglieranno questa opzione non potranno adottare figli, a differenza delle coppie eterosessuali, con buona pace di chi vedeva nella legge un grimaldello per giungere  alle adozioni libere per le coppie omosessuali, su su fino alla maternità surrogata o utero in affitto che dir si voglia.  Il Ddl in questa parte istituisce invece la stepchild adoption, letteralmente l’adozione del figliastro, intervenendo sulla già esistente legge che regola la materia, datata 1984.

La controversa norma sulle adozioni contenuta nel testo riguarda dunque la facoltà di adottare il figlio già esistente del partner, e non quindi la possibilità per la coppia di adottarne uno esterno al nucleo familiare. Fotografa in sostanza una situazione di fatto, concedendo ad un partner di persona  gay o lesbica di adottarne il figlio, sempre e soltanto previo consenso dell’altro genitore, se presente e non interdetto o scomparso, e sempre e soltanto a seguito di una sentenza di un giudice minorile che attesti l’idoneità all’adozione nel supremo interesse del minore. Il nuovo partner avrà quindi obblighi giuridici nei confronti di quello che diventerà a tutti gli effetti anche suo figlio.

Viene messo in primo piano quindi il diritto del bambino ad avere due genitori, e non il contrario. Il minore rimane al centro dell’attenzione del discorso giuridico, non vengono stravolte le leggi esistenti da oltre trent’anni. Solamente si aggiunge la possibilità anche per le coppie unisex di compiere un ricongiungimento familiare.

Foto: Andrea Magnano