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Metti il migrante in prima pagina

In che modo i media italiani hanno trattato il tema dell’immigrazione nel 2015? In che direzione questa rappresentazione ha influenzato i cittadini? Sono queste le principali domande alle quali tenta di rispondere «Notizie di confine», terzo Rapporto Carta di Roma curato dall’Osservatorio europeo per la sicurezza, i cui dati sono stati presentati oggi, 15 dicembre alle 10,30, presso la Camera dei Deputati. Per discutere su quanto emerso abbiamo rivolto alcune domande al giornalista Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma.

Quali sono i dati più significativi del terzo Rapporto della Carta di Roma «Notizie di confine»?

«Innanzitutto vorrei sottolineare, come emerge dal rapporto della Carta di Roma, che nel 2015 vi è stato un aumento esponenziale di notizie riservate al tema dei rifugiati, migranti e richiedenti asilo, un dato importante se paragonato all’anno precedente. Dato emerso grazie all’analisi di articoli, prime pagine e servizi televisivi. I dati raccolti, in particolare, fanno riferimento ai titoli in prima pagina dei primi dieci mesi del 2015 delle testate giornalistiche: Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa, Il Giornale, Avvenire e l’Unità. Rispetto alla stessa analisi effettuata sui dieci mesi dell’anno precedente, emerge che vi è stato un aumento di titoli in prima pagina dell’80%. Per alcuni quotidiani, ad esempio Il Giornale, l’attenzione è salita addirittura del 170%. Ovviamente non entriamo nel merito di quali titoli siano stati scelti, per ora parliamo solamente di presenza rispetto all’argomento preso in esame. In tutto il 2015 vi sono stati solamente 39 giorni nei quali, nessuno di questi giornali ha messo in prima pagina un titolo relativo all’immigrazione».

Per quanto riguarda la televisione?

«Abbiamo preso in considerazione i telegiornali della Rai (i tre canali principali), i Tg dei tre canali Mediaset e il Tg de La7. Emerge che i titoli di apertura sono aumentati del 250% rispetto allo stesso periodo preso in esame per l’anno precedente, ossia il 2014».

Tutto questo aumento di attenzione rispetto al passato è un bene?

«C’è un duplice aspetto. L’aumento esponenziale di attenzione al tema è impressionante, ma non sorprendente. Vengono alla mente eventi di grande portata: ad aprile l’ennesima sciagura navale con più di ottocento morti; l’esodo massiccio di disperati verso la rotta balcanica; la vicenda migrazioni che entra a pieno titolo nell’agenda politica europea; ed ancora, il 3 settembre la pubblicazione della foto del piccolo Aylan ritratto inerte nella spiaggia e l’impatto emotivo che quell’immagine suscita cambiando le posizioni di governi sino a quel momento distanti dalla tragedia che stava attraversando l’Europa. Fatti ai quali dobbiamo aggiungere anche i recenti atti terroristici e l’avanzata dell’Isis che, se applichiamo i normali criteri di “notiziabilità”, hanno fatto impennare l’attenzione mediatica nel corso dei dieci mesi presi in esame. Un’attenzione che ha reso ben visibile l’enorme varietà narrativa del fenomeno nei giornali e nelle testate televisive. L’altro aspetto, meno edificante a mio avviso, è l’uso giornalistico strumentale, spesso fazioso, fatto a discapito del fenomeno migratorio tra allarmi terrorismo, emergenze sanitarie e questioni securitarie».

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Un tema raccontato con sguardi e “porte” narrative diverse?

«Certamente, dimensioni politiche, questioni legate al terrorismo, tratte di esseri umani via mare e via terra, costruzioni di muri e frontiere invalicabili, aspetti economici, sono stati dal punto di vista giornalistico delle preziose occasioni per produrre sempre nuovo materiale informativo, giornalistico, di approfondimento. Reportage e interviste, analisi che hanno arricchito le testate da noi esaminate. Abbiamo riscontrato accezioni positive date, a volte, al fenomeno: dal valore della multiculturalità a quello del Pil generato da prime e seconde generazioni che i nuovi italiani producono a favore della nostra nazione. Il fenomeno migratorio, pervadendo la società italiana, ha finito con il riempire anche le pagine dei nostri giornali».

Anche il vostro Rapporto quest’anno ha usufruito di uno sguardo diverso.

«Per la prima volta il Rapporto è stato curato dall’Osservatorio di Pavia, infatti la parte introduttiva è stata curata dal professor Ilvo Diamanti. Diamanti delinea in particolare due diversi modi con cui i giornali raccontano “lo straniero”, “il migrante”, noi diremmo il profugo, il richiedente asilo che approda nel nostro paese. Da una parte la rappresentazione che lo vede appunto come un profugo in fuga dalle povertà, dalla fame e dalle guerre. Dall’altra quel modo di vedere, nelle stesse persone, l’immagine del feroce terrorista islamico che minaccia la nostra vita e insidia la nostra società e le nostre città. Questa forbice estrema è certamente la formula narrativa più comunemente utilizzata. Mai, come in questi ultimi mesi, è invece emersa con forza un’altra narrazione, incentrata sull’umanità e sulla centralità della persona e dei suoi diritti. Attraverso le storie, le disavventure, i sentimenti, si è aperta la finestra della solidarietà, della comprensione e dell’empatia. Diamanti mostra anche quanta confusione sia ancora presente rispetto al fenomeno migratorio, un fenomeno che bussa alla porta delle nostre case e che ci chiama a pochi chilometri dalle nostre coste. Insomma, Diamanti pone l’accento su una società, la nostra, completamente disorientata da questa situazione. Il Rapporto 2015 è composto da quattro sezioni: l’analisi della carta stampata, l’analisi dei telegiornali nazionali prime time, e le buone e cattive pratiche. È stato inoltre introdotto il delicato tema dell’hate-speech e del dangerous-speech nei media, con un capitolo che delinea esempi concreti di come l’informazione giornalistica guarda e riporta discorsi incendiari».

Dal vostro punto di vista, come associazione Carta di Roma attenta all’applicazione della deontologia, cosa emerge dal Rapporto?

«In generale abbiamo notato uno sforzo importante nel voler seguire le regole. L’uso dei termini utilizzati è stato spesso appropriato. Questo è il nostro compito, controllare che non vengano infrante le regole sancite dalla Carta deontologica, poi ovviamente siamo anche contenti se oltre all’applicazione della deontologia professionale vengono impiegate anche la cura, la sensibilità e l’attenzione dovuta ad un tema così delicato. Poter entrare nel merito delle scelte redazionali non è certamente il nostro compito. La scelta su come affrontare certe tematiche appartiene alla libertà dei singoli individui e delle redazioni, dunque, certe sensibilità e attenzioni noi potremmo solo auspicarle ma non certamente pretenderle. Invece sul fatto che vengano utilizzati termini giuridici appropriati, parole non offensive o sbagliate, questo sì, noi possiamo pretenderlo. Dobbiamo dire che quest’anno abbiamo riscontrato un netto miglioramento nell’utilizzo delle terminologie corrette. Dobbiamo segnalare però anche l’utilizzo di termini volutamente errati o faziosamente interpretati e spesso offensivi. Titoli come “Bastardi islamici” o definizioni come quella di “clandestini”, sono purtroppo ancora persistenti. L’Associazione Carta di Roma non è una “fondamentalista” del politicamente corretto, anzi gli estremisti del politicamente corretto sono spesso i grotteschi alleati di chi si muove in senso contrario, perché offrono loro il fianco. Noi ci troviamo a vigilare su un codice deontologico, dunque su cose sanzionabili dal punto di vista disciplinare e dobbiamo con dispiacere far notare che nell’arco di questi ultimi due anni – seppur il numero di esposti che abbiamo dovuto fare per segnalare le violazioni disciplinari sia stato limitato – la faziosità di certi titoli e l’utilizzo di termini inappropriati non sia mai cessato» .