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Laicità come testimonianza

Una legge che colma un vuoto di diritto e che esplicita senza timidezze il principio di laicità: queste le parole chiave del progetto elaborato dal “Gruppo di lavoro sulla libertà religiosa – organismo costituito da giuristi e da rappresentanti di diverse confessioni religiose – che dal 2013 elabora una proposta di legge sulla libertà di coscienza e di religione. Un testo che nasce con l’intenzione di superare la legge sui “culti ammessi” del 1929 e che segue diversi tentativi che negli anni hanno visto diverse battute d’arresto; in particolare, nel 2007 la proposta si arenò in Parlamento per l’opposizione della Cei proprio all’esplicitazione del principio di laicità. Ora il tema viene ripresentato in un diverso clima politico ed ecumenico, nella speranza di un esito differente. La legge è pensata con un ampio spettro di destinatari: riguarderà infatti le associazioni con finalità di religione e di culto, le associazioni filosofiche e non confessionali a livello locale e nazionale, le confessioni religiose che non abbiano ancora stipulato accordi o Intese con lo Stato.

Il coordinatore del Gruppo di lavoro, Roberto Zaccaria, costituzionalista e presidente del Cir, Consiglio italiano per i rifugiati, è intervenuto sabato 5 dicembre all’Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – che è stata interlocutrice del progetto – per sottolineare l’importanza del progetto di legge, arrivato alla sua fase conclusiva e in procinto di essere presentato ufficialmente. «Nel nostro ordinamento – ha sottolineato Zaccaria – mancano tre leggi fondamentali: una sulle migrazioni, perché quella attuale è per molti aspetti incompatibile con la Costituzione, una sulla cittadinanza e una sulla libertà religiosa: un trittico fondamentale per una società multiculturale». «Il Parlamento attuale fa fatica a promulgare leggi che abbiano un po’ di respiro – ha aggiunto il giurista – ma noi vorremmo finalmente dare dei diritti alle comunità religiose escluse dalle Intese, su cui si applicano ancora disposizioni del 1929».

Nel progetto di legge si fa riferimento esplicito alla laicità, che in passato ha sollevato delle chiusure principalmente da parte cattolica. Come viene declinato questo principio fondamentale nella formulazione della vostra proposta?

«Innanzi tutto è importante che una legge del 2015 sulla libertà religiosa abbia questo principio in copertina, anche se alcuni sostengono che se ne potrebbe fare a meno e che basterebbe inserire delle norme che lo realizzino. Ma la laicità dà la chiave interpretativa della legge, perché tutta la lettura del testo è ispirata a questo fondamento. La laicità viene declinata a seconda degli ambiti in cui l’individuo si rapporta alle varie istituzioni, dalla scuola agli istituti di detenzione, ma riguarda anche i rapporti di lavoro, perché la libertà di religione investe tutte le sfere della vita e se non viene tutelata si finisce per avere figli e figliastri, come di fatto è stato finora. Ci sono infatti confessioni che non hanno o non possono avere un’Intesa con lo Stato, una situazione che crea una società asimmetrica in cui alcuni sono discriminati, con tutti i pericoli che ne conseguono».

Il progetto di legge dovrà essere presentato pubblicamente: cosa succederà in seguito? Quali prospettive immaginate per l’iter della proposta?

«Io credo che si debba entrare in Parlamento dalla porta principale, cercando i canali che consentano di essere ascoltati con la dovuta attenzione e soprattutto appoggiandosi a chi ha la volontà di portare fino in fondo il progetto. Quindi cercheremo di presentarlo attraverso le forze politiche principali in Parlamento, maggioranza e opposizione, e se possibile anche con l’ausilio del Governo. La proposta deve essere condivisa, altrimenti non procede».

In un periodo di tensioni sociali in cui la religione è usata come arma, che peso può avere una legge come questa?

«E’ interesse dello Stato portare avanti i diritti, i valori e il riconoscimento delle esigenze di tutta la popolazione. Tenere alcuni in condizione di inferiorità o soggezione può riverberarsi negativamente anche sul piano della sicurezza. Perché ci sono alcuni che usano il kalashnikov in nome di Allah dobbiamo mandare tutti gli islamici al confino? Ci sono già un milione e mezzo di musulmani nel nostro paese: è un dato di fatto. Vogliamo forse vivere segregati e costruire muri, come sempre più spesso si fa anche in Europa? È proprio in questi momenti di difficoltà e tensione politica che bisogna tenere alta la bandiera della laicità, non con protervia o come arma, ma come testimonianza».

Foto Pietro Romeo