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«Oggi siamo luterani italiani»

Heiner Bludau, 58 anni, dal 2010 pastore della comunità luterana di Torino, dal 4 maggio 2014 è il decano della Chiesa luterana in Italia. Alla vigilia del 31 ottobre, anniversario della Riforma protestante, e oramai prossimi ad altri importanti momenti ecumenici, ragioniamo con lui sul senso del luteranesimo oggi nel nostro Paese, e sullo stato dell’arte delle relazioni fra diverse confessioni.

Partiamo dall’avvenimento cronologicamente più vicino: domani è il 31 ottobre, l’anniversario dell’affissione delle 95 tesi da parte di Lutero sul portone della chiesa del castello di Wittenberg. Quale è il senso di questa ricorrenza oggi, in Italia e nel mondo?

B: «Nel mondo, nei paesi scandinavi e tedeschi il luteranesimo ha una forza tale da poter organizzare eventi di rilevante portata. In Italia il discorso è diverso: si tratta per noi di un’ottima occasione per farci conoscere ad un pubblico più vasto rispetto al solito. Siamo pochi e poco noti fuori dalle nostre comunità, per cui momenti come questi sono ideali per parlare a chi può avere curiosità di sapere cosa fanno i luterani a queste latitudini. Anche per questo motivo è importante a nostro avviso avere un approccio ecumenico al 31 ottobre, ed è per questo che nelle varie città si stanno organizzando momenti comuni, fra protestanti in primis, ma anche in collaborazione con altre realtà come la chiesa cattolica. A Torino ad esempio per il terzo anno verrà celebrato il culto della Riforma in maniera unitaria, e quest’anno per la prima volta sarà presente un gruppo cattolico, che sta partecipando ad un percorso comune e che potrà in questa occasione condividere con noi il momento eucaristico. Anche la predicazione andrà in tale direzione: sarà affidata ad un pastore pentecostale, proprio a sottolineare il carattere unitario delle celebrazioni»

Fra due anni poi, nel 2017, si festeggeranno i 500 anni della Riforma; cosa bolle in pentola per l’occasione?

«Sappiamo intanto che sarà la Germania il fulcro dei festeggiamenti, con una sorta di grande Expo cui verremo chiamati a partecipare secondo varie modalità. Ma a noi interessa ragionare sull’Italia, e qui posso già dire che insieme soprattutto ai fratelli valdesi e metodisti stiamo lavorando su vari momenti: è previsto un culto ecumenico, una sorta di kirchentag che si svolgerà a Pentecoste a Milano, e che speriamo possa essere ospitato nelle zone centrali della città, in maniera tale da coinvolgere il maggior pubblico possibile. Inoltre il Sinodo luterano del 2017 si svolgerà a Venezia, dove la nostra comunità ha una storia con radici assai profonde. L’intero anno sarà in realtà dedicato alle celebrazioni, con momenti più o meno corposi in seno alle nostre varie comunità. A dirla tutta è questo intero decennio che è stato consacrato alla Riforma, proprio per far comprendere quanto per il mondo protestante sia importante ancora oggi il messaggio e i principi che la regolano»

Spostandoci appena più in là del 31 ottobre, a metà novembre papa Bergoglio sarà ospite della vostra chiesa a Roma. Felice?

«Estremamente felice. Si tratta di un’iniziativa nata in seno alla comunità luterana romana, e dalla comunità verrà gestita. Sono molto lieto di questo ennesimo gesto ecumenico da parte di Francesco, segno di attenzione e rispetto. E’ la terza volta di un papa nella nostra chiesa a Roma: il primo fu Wojtyla, nel 1983, anno del cinquecentenario dalla nascita di Martin Lutero; venne quindi Ratzinger nel 2010 ad assistere ad un culto in lingua tedesca, e ora Bergoglio: una tradizione che prosegue e che non può che farci piacere proprio per questa sete di ecumenismo che ho già sottolineato».

A giugno papa Francesco ha visitato per la prima volta una comunità valdese, pronunciando una toccante richiesta di perdono nel Tempio di Torino. Lei era presente, ci racconta come ha vissuto quella giornata?

«E’ stato un momento veramente toccante, e sono onorato di aver ricevuto un invito per potervi partecipare. Difficile trattenere la commozione durante il discorso del pontefice, che ha compiuto un passo estremamente significativo, convincente, nella direzione di una riconciliazione possibile. Direi che si tratta di un’occasione ideale per proseguire con vigore nel dialogo».

Continuiamo a ficcare il naso in casa altrui. Si è appena concluso in Sinodo cattolico dei vescovi dedicato alla famiglia. C’erano forti aspettative, secondo Lei sono state deluse?

«Io direi di no, e per una serie di motivi. Intanto c’è stato un importante momento preparatorio che è servito sia ai vescovi che alla chiesa cattolica in generale per fotografare le situazioni delle famiglie nel mondo di oggi. Penso ad un questionario, che in Italia non mi risulta abbia avuto un grande successo, ma che in Germania è stato distribuito in un numero elevatissimo di copie fra le famiglie cattoliche, che hanno avuto modo di raccontare le proprie vite di coppia. Con risultati ovviamente assai variegati, figli dei nostri tempi: divorziati risposati, problema delle adozioni, delle coppie di fatto. Ecco, la famiglia è concetto assai vasto e questo lavoro forse è servito a renderlo noto anche in Vaticano. Per quel che riguarda i risultati, più che soffermarsi sul singolo aspetto, quale ad esempio la comunione ai divorziati risposati, sottolineerei che si è avviato un percorso. Non possiamo attenderci gesti rivoluzionari dall’oggi al domani, ma la macchina si è messa in moto, e questo mi pare un bel segnale, figlio del dinamismo dell’attuale papa».

Che mi pare convincerLa quindi?

«Direi di si. Al momento della sua elezione mi era parso un personaggio di indubbio buon senso, ma troppo mediatico. E invece sta dimostrando che alle parole seguono i fatti, sia nelle questioni interne, di cui ovviamente non esprimo alcun giudizio né potrei farlo, sia verso l’esterno, dimostrando una sete di lavoro congiunto, ecumenico, che non può che farci molto piacere. Direi che si sta dimostrando coraggiosamente riformista. Vedremo fin dove potrà o lo faranno arrivare, perché non può certe compiere fughe in avanti in solitaria, ma lavorare con il dialogo, e la convocazione dei sinodi dimostra che è questo il suo intento».

Per chiudere, ragioniamo sul senso del luteranesimo oggi in Italia, e sui suoi auspici da qui al 2018 quando scadrà il suo mandato

Sottolineo sempre, e non mi stancherò di farlo, l’importanza di un lavoro che parta dalle comunità, che coinvolga i membri di chiesa, che non devono sentirci come un’entità lontana, ma come parte integrante del loro quotidiano. Oggi non siamo solo più luterani, ma luterani italiani, e non è aspetto di poco conto. Non siamo più soltanto una comunità di tedeschi che si esprime e prega nella propria lingua madre, ma siamo una comunità oramai mista, con diversi culti in italiano, e diversi non luterani che si avvicinano a noi perché desiderosi di dare una mano condividendo il nostro stile e i nostri precetti. Ecco questi sono i passi a mio avviso più importanti: una piena integrazione con le realtà attorno a noi, e un’identità che muta e che si fa italiana, desiderosa di “sporcarsi le mani” qui e ora, giorno per giorno. Non siamo più ospiti, ma parte integrante delle città in cui viviamo, e questo mi pare risultato migliore del luteranesimo italiano dal dopoguerra ad oggi».

Una piazza a Roma dedicata a Lutero mi pare vada nella direzione proprio di questo riconoscimento auspicato

«E’ così. Si tratta di un gesto di attenzione e anche un’opportunità per noi protestanti, per usare quello spazio ad esempio per nostre attività. Diciamo che la ribalta mediatica è dovuta al fatto che parliamo di Roma, la culla del cattolicesimo, perché di iniziative simili ne sono già state prese un po’ ovunque. Ma questa ha ovviamente un significato differente, se è vero che è diventato titolo di prima pagina anche per il Süddeutsche Zeitung, uno dei più importanti quotidiani di Germania».

Foto P. Romeo