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La nuova vita di via Nomaglio

È una piccola strada, via Nomaglio a Torino. Si parcheggia da entrambi i lati e al centro passa una macchina per volta. Intorno le case mostrano le sfumature dei tanti periodi in cui questa parte di città è cresciuta e ha visto avvicendarsi storie di uomini e donne. Vecchie case di pochi piani si trovano spalla a spalla con palazzi più alti e recenti. Siamo a Barriera di Milano, uno dei quartieri più complessi ed insieme più interessanti della città sabauda.

In via Nomaglio si è svolta una parte significativa della vita della Chiesa valdese di Torino e per raccontarla occorre fare alcuni passi indietro nel tempo, per arrivare a quando la città, negli anni ’50, era punto di arrivo per migliaia di migranti del Sud Italia. Barriera di Milano, allora come oggi, era uno dei luoghi di approdo per i nuovi arrivati: una delle grandi periferie che sarebbero state insieme luogo complesso e difficile, ma anche luogo vitale per l’identità della città operaia. Tra le migliaia di biografie transitate nel quartiere c’erano quelle delle numerose famiglie di valdesi che da Sicilia e Puglia arrivavano in città. In quel contesto la Chiesa valdese di Torino scelse di aprirsi alla periferia.

Patrizia Mathieu racconta la storia di Via Nomaglio

«Il numero delle persone che erano qui era significativo e la comunità ha deciso di costruire un locale di culto in questa zona – dice la presidente del Concistoro della Chiesa valdese di Torino, Patrizia Mathieu – si faceva il culto, ma non solo: c’erano gli studi biblici, le feste, c’era un gruppo giovanile molto attivo, c’era la scuola domenicale. All’epoca la Chiesa di Torino aveva ben quattro scuole domenicali e i bimbi crescevano nel luogo dove i loro genitori andavano al culto».

I locali di culto di via Nomaglio per molti anni hanno rappresentato un luogo di socializzazione importante in città, sia per chi apparteneva alla chiesa, sia per il quartiere. Nella Napolitano, storica frequentatrice del locale di culto di via Nomaglio, ne ripercorre con noi il senso e l’importanza, che si intreccia con la sua biografia di emigrante dalla Sicilia e all’esperienza dell’essere chiesa in periferia a Torino.

Nella Napolitano racconta la sua esperienza in via Nomaglio

Poi i tempi sono cambiati e con essi gli equilibri urbani. E anche nella piccola via Nomaglio si è dovuto trovare un nuovo senso del proprio agire.

Lo scorso 23 ottobre, grazie alla collaborazione tra Chiesa valdese di Torino e Diaconia valdese, i locali di via Nomaglio sono stati riaperti, con un nuovo nome: Il passo social point. A guardare bene i locali oggi ritinteggiati e rinnovati con decine di colori, si può tuttavia ancora cogliere parte del fil rouge che lega quella struttura al proprio passato. Se negli anni ’50 era chi arrivava dal Sud Italia ad aver bisogno di un luogo di incontro e di espressione della propria fede, oggi sono altri i migranti da accogliere e per cui c’è bisogno di costruire un’interazione con il territorio. Le attività già presenti sono tante, dai progetti Sprar della Diaconia valdese alla collaborazione con Extra-Titoli.

Silvia Torresin e Elena Evangelisti raccontano le attività a Il passo social point

Il caso torinese de Il passo social point si inserisce in una più ampia progettazione che la Diaconia valdese sta effettuando in molte città italiane, tra cui Firenze e Milano e che guarda alla costruzione di luoghi in cui intercettare il bisogno. «Sono degli osservatori per cercare di capire quali siano le necessità del territorio e cercare di rispondere con le possibilità che abbiamo» dice Giovanni Comba, presidente della diaconia.

Giovanni Comba delinea la strategia della Diaconia valdese

La nuova via Nomaglio nasce anche grazie ai fondi dell’Otto per mille valdese e a ben guardare la sua rinnovata vocazione di apertura al mondo del quartiere, offre degli spunti diversi anche per la Chiesa valdese in città. «La testimonianza evangelica un po’ cambia, perché non è più un locale di culto – racconta ancora Patrizia Mathieu – Però quello che io chiamo l’osare la speranza rimane tuttora perché noi speriamo di essere non solo un punto di passaggio, ma anche un punto di accoglienza, di ingresso, dove ci sia la possibilità di testimoniare ai moltissimi evangelici tra i migranti che arrivano a Torino la possibilità di trovare una casa spirituale nelle varie comunità evangeliche in città. In questo senso il nostro gruppo giovanile è molto interessato a cercare di portare la sua collaborazione in questo luogo e quindi è tutto da inventare».

All’inaugurazione sono intervenute anche l’assessora regionale alle Politiche giovanili e immigrazione della Regione Piemonte Monica Cerutti, la vice sindaca di Torino Elide Tisi e la presidente della Circoscrizione 6 Nadia Conticelli.

Nadia Conticelli racconta lo sviluppo di Barriera di Milano 

Via Nomaglio, dal suo piccolo sembra guardare, insomma, al domani e al quartiere che nascerà dopo i piani di rigenerazione urbana di questi anni, con un piede nella propria storia e uno nel presente.