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Un giornalismo attento alle persone

Un giornalismo attento alle persone, le più umili, alle storie umane, ai cambiamenti dei tempi. Mai cinico, mai banale, conformista, appiattito sui luoghi comuni. Questo ha praticato e questo ha insegnato Vera Schiavazzi. Cronista da una vita, aveva conservato l’umiltà di quando, giovanissima, entrò alla Gazzetta del Popolo. Se n’è andata, all’improvviso, per un arresto cardiaco giovedì pomeriggio lasciando impietriti marito, figli e i tanti che l’hanno amata. Aveva 55 anni, ma anche se prematura la morte ne ha stroncato i sogni che ancora aveva nel cassetto, sono stati ben spesi. Buona collega, buona madre e moglie, ma soprattutto superlativa amica. Protettiva, era sempre pronta ad ascoltare, anche quanto era di corsa ed affannata a scrivere l’ultimo articolo della giornata. Una a una ci conduceva per mano, non faceva mai mancare il suo affetto, la sua solidarietà nei momenti difficili. Con lei è nato il master di giornalismo dell’Università di Torino “Giorgio Bocca” e anche in quel contesto per gli studenti-praticanti non era soltanto una guida, una maestra del mestiere, ma una confidente. Il suo ufficio era una sorta di confessionale dove ragazzi e ragazze esprimevano i loro dubbi, le loro ansie, le loro paure per un futuro incerto.

Del giornalismo aveva sperimentato tutte le sfaccettature, dalla cronaca, nera e giudiziaria, all’inchiesta sui grandi temi sociali. Altrettanto la sua carriera si è snodata in diverse realtà: dalla carta stampata, prima alla Gazzetta poi a La Repubblica, dove era ritornata a tempo pieno in redazione dopo oltre 10 anni di assenza, all’agenzia di stampa, dalla comunicazione per il Comune di Torino con l’allora sindaco Sergio Chiamparino al lungo periodo di direzione della scuola di giornalismo. Di grande importanza anche il suo impegno a favore della categoria, nell’Ordine e nel sindacato. Ad animarla la grande passione. Perché Vera era una passionale, credeva in quello che faceva, ci metteva tutta se stessa e lo trasmetteva a chi le era accanto. Chi scrive ha perso un pezzo della propria storia. Quarant’anni in cui siamo state accomunate, se pur attraverso percorsi diversi, dal medesimo impegno politico-civile, dalla medesima professione e dalla medesima fede religiosa. Non secondaria quest’ultima è stata il sale della sua, della nostra esistenza. Può apparire strano, ma anche nella confusione, nello stress di un lavoro che non da tregua, riuscivamo a parlare di Dio. Ce lo sentivamo vicino e questo dava la forza sufficiente per concludere la giornata. Gli incontri biblici a casa sua, con i pastori Giorgio Bouchard e Piera Egidi, esprimevano a pieno quello che era la nostra Vera: lavoro, tanto lavoro (arrivava sempre ultima alla cena che precedeva la lezione di Bouchard perché doveva finire di scrivere) calore famigliare (riuniti a tavola con figli, marito, ognuno sentiva di essere uno di casa) studio che in quelle sere, sulle Scritture, diventa stimolo vivo per capire meglio il mondo.

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