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Franco Giampiccoli: la Bibbia e la vita

Sono passati due mesi e non riesco ancora a rassegnarmi all’idea che Franco Giampiccoli non sia più tra noi. Lo so che alla fine era stremato dalla malattia e che la sua è stata comunque una lunga vita (80 anni) ricca di esperienze e di scritti importanti. Ha visto la sua famiglia crescere sino a farsi circondare da sei nipoti. Con Danielle al suo fianco, così discreta e lieta. Con Jacqueline, Silvia e Anna, le tre amate figlie così solari. Sapere che in ogni momento potevo, con lui, avere uno scambio di informazioni, svolgere ragionamenti. Avere il suo parere per orientarmi nel difficile mestiere di pastore…: ho perso un prezioso riferimento e un amico.

Nel mio studiolo ho appesa la riproduzione di un dipinto di Van Gogh che egli stesso mi aveva indicato alla fine degli anni 70 quando collaboravo, settimanalmente, con lui nella redazione de La Luce/L’Eco delle valli valdesi. In quella Tipografia subalpina con le sue rumorose linotype, in cui si respirava aria di piombo fuso e ci si muoveva in una bottega polverosa che aveva visto, proprio di fronte al comando tedesco, la stampa clandestina dei partigiani. Un giorno mi aveva raccontato di quel quadro (senza peraltro che lo avessimo davanti) come fosse la sua biografia.

Quella Bibbia che domina la scena in cui guardando bene s’intravede la scritta «Isaie LIII»: è aperta sull’impressionante capitolo (Isaia 53) che descrive il Servo dell’Eterno. C’è accanto una candela spenta che rinvia alla morte del padre di Vincent, Theodorus Van Gogh, pastore, avvenuta solo qualche mese prima. Nelle rapide pennellate del pittore e sua volta pastore mancato, la Bibbia diffonde una luce propria. Di fianco alla maestosità della Parola di Dio c’è un libro più piccolo di Èmile Zola dal titolo evocativo: La Joie de vivre. Comprai il poster del quadro al Museo Van Gogh di Amsterdam e me lo son portato dietro in tutti i miei traslochi.

La spiegazione di Franco mi aveva affascinato e convinto. Nel dipinto che Vincent ha realizzato in una sola giornata di ottobre del 1885 c’è tutto quello che occorre avere nella vita. E che Franco aveva in abbondanza. La centralità della Parola di Dio, che ben conosceva poiché era, prima di essere acuto teologo, un solido biblista. Quella pagina aperta che rinvia alla figura del Servo dell’eterno che è il ponte tra ebraismo e cristianesimo. E accanto la gioia di vivere che Franco esprimeva con grande serenità condita da uno humour discreto e sagace. Mai volgare. E poi quella candela spenta, come dire che da qui ce ne andiamo, la vita biologica si spegne ma restiamo viventi nel Signore.

Franco lo conobbi in veste di campista «cadetto» negli anni 50 ad Agape. Lui era «Zampa». Dopo averci fatto studiare di giorno o portato in gita anche in alta montagna, ogni notte controllava che nelle casette agapine le regole del silenzio venissero rispettate da tutti. Ma lo faceva con dolce fermezza. Del resto eravamo scatenati e lui era una roccia. Con il tempo divenni suo stretto collaboratore e infine amico. La sua singolare capacità teologica, la sua dirittura morale, la sua passione giuridica applicata alla vita della nostra chiesa. Ma anche la sua passione di biografo di grandi pensatori (da Charles Beckwith a Henry Dunant a Dag Hamamrskjöld sino al recente ritratto dell’architetto dell’ecumenismo, il teologo olandese Willem A. Visser’t Hooft) per non dire di tante altre sue preziose pubblicazioni edite dalla Claudiana… tutto questo e altro ancora ha arricchito la vita di tanti credenti e non credenti nel cui lungo elenco mi sono iscritto sin da ragazzino.

Se abbiamo in questo nostro Paese qualcosa da dire e se abbiamo, come comunità valdese, una solida credibilità è perché, con discrezione, fermezza e coerenza, ci hanno preceduto testimoni di questa levatura. Mantenere alto il livello spirituale e culturale di consacrazione alla causa evangelica è la sfida che Franco, maestro e compagno d’opera, con la sua vita ripropone a tutti noi.

Foto P. Romeo/Riforma