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Musica: dono di Dio o pericolosa tentazione emotiva?

È dedicato alla musica l’ultimo numero (2-3/2015) di Protestantesimo, la rivista della Facoltà valdese di Teologia. Il numero, doppio e intitolato Musica donum Dei, e curato dal m° Daniele Claudio Iafrate, si apre con l’editoriale del direttore Enrico Benedetto, professore di Teologia pratica, e fin dal titolo, «Inneggiare», ci conduce al centro della trattazione. La musica, scrive il direttore, ha avuto considerazione variabile a seconda degli autori e delle epoche: considerata pericolosa da Agostino per il coinvolgimento emotivo che è in grado di suscitare, essa agitava i sonni anche di Zwingli, mentre fu ampiamente praticata da Lutero. Il suo inno fondamentale Ein feste Burg, il nostro «Forte rocca», ha una storia che non è solo organistica: la ripercorre Jolando Scarpa, organista, musicologo, curatore editoriale di pubblicazioni musicali e predicatore locale.

Scarpa muove proprio da una considerazione riguardo al ruolo di Lutero nella storia della musica: «Il contributo di Lutero all’arte della musica sacra si esplicò interamente in riferimento alla liturgia e si accentrò nell’originalità della sua personale opera innologica che rappresentò non solo per il suo tempo il fondamento della partecipazione della comunità al culto evangelico, ma ancor oggi costituisce una solida base che in molti casi serve da modello al canto ecclesiastico». Convinto che la musica (dono di Dio: lo disse lui) avesse un ruolo ben preciso nella vita ecclesiastica, si preoccupò che la messa fosse tradotta in tedesco, e poi, con umiltà, seppe intrecciare rapporti e collaborazioni con alcuni dei più importanti musicisti del tempo. Oltre a operare sulla struttura della messa cantata e sui ruoli del celebrante e del coro, Lutero lavorò fu anche autore e traduttore di testi. La storia del suo più importante inno, appunto Ein feste Burg arriva fino in epoca romantica, allorché Mendelssohn lo inserisce nella sua sinfonia n, 5, detta Riforma (1830). Questo aspetto di Lutero sarà certo oggetto di considerazione in vista del 500° anniversario della Riforma stessa nel 2017.

Gli altri saggi del fascicolo sono una illustrazione sulla «musica in prosa nel Nuovo Testamento» (Eric Noffke), una considerazione del Salterio ugonotto (Ginevra, 1562) come «una Confessione in musica» (Emanuele Fiume); l’accostamento fra diverse modalità di accompagnamento strumentale del canto comunitario («D. C. Iafrate, «Da Lipsia a Treviso passando per Rio»). Giorgio Tourn affronta poi un momento delicato, quello in cui viene redatto l’innario Psaumes et cantiques: le chiese delle valli valdesi, che fino alla metà del XIX secolo avevano adottato il Salterio di Ginevra di cui sopra, sotto la spinta del movimento risvegliato aggiunsero al loro repertorio liturgico una trentina di composizioni del Risveglio, che spostarono, aderendo alla teologia del movimento, il centro della fede dalla dottrina all’azione diretta della fede nell’animo del singolo credente.

Gabriella Ballesio ripercorre la storia di quei campi cadetti di Agape che tra il 1969 e il 1973 portarono alla redazione del relativo Canzoniere, tra negro spiritual e materiale popolare, mentre Sante Cannito svolge una panoramica sulle modalità della composizione di inni protestanti in epoca strettamente contemporanea. Infine Ilenya Goss chiarisce la natura di preghiera che dobbiamo attribuire al canto comunitario in chiesa. Cantare insieme significa per l’autrice, nel solco delle osservazioni di Ermanno Genre (Il culto cristiano. Una prospettiva protestante, Claudiana, 2004), approfondire il proprio senso di appartenenza e di comunione.

Foto “Felix Mendelssohn-Bartholdy (AMZ 1837)” di Friedrich Jentzen (1815-1901); painting by Theodor Hildebrandt (1804-1874) – Allgemeine Musikalische Zeitung, 39 (1837), Frontispitz http://books.google.com/books?id=FuQqAAAAYAAJ&pg=PP10. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.