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Svizzera. Può una chiesa respingere chi le ha chiesto rifugio?

Può succedere che nel cuore dell’Europa, entità che agglomera oltre settecento milioni di abitanti, 6 persone rappresentino un problema, una palla al piede. E questo nella nazione che ha visto nascere la Croce Rossa, ideata proprio per garantire un soccorso super partes a tutti i bisognosi, vittime di guerre e violenze.

A Losanna, in Svizzera, proseguono le disavventure dei 6 profughi di origine eritrea ed etiope, che da marzo vivono nella sala parrocchiale della chiesa Saint-Laurent, appartenente alla chiesa evangelica riformata del cantone del Vaud (Eerv). L’occupazione è stata l’ultima mossa per evitare il rinvio in Italia, luogo di sbarco dei sei e per questo terra in cui andrebbero rispediti, secondo gli oramai arcinoti accordi di Dublino.

In questi ultimi giorni il consiglio sinodale dell’Eerv ha chiesto ai ragazzi di liberare la sala parrocchiale, decisione che non sta mancando di suscitare aspre polemiche. Può una chiesa respingere dei propri figli, correndo il rischio con la propria decisione di creare loro gravi problemi?

La motivazione del consiglio è legata alla valenza simbolica che le istanze dei richiedenti asilo hanno raggiunto a seguito dell’occupazione, cessando di essere singoli bisognosi, e strutturandosi in un gruppo, supportato da parte della popolazione locale, che ha trasformato l’occupazione in un atto politico di denuncia delle politiche di integrazione europee. Ed è motivata anche dalla ragionevole speranza di non abbandonare al proprio destino i sei.

Joel Burri, pastore e redattore della testata giornalistica protestinfo.ch in un editoriale ha ricordato le incongruenze degli accordi di Dublino, ma ha anche sottolineato come «le autorità elvetiche non sono per nulla obbligate a respingere i migranti perché è possibile invocare clausole di sovranità nazionale e di discrezionalità. Per questo i ragazzi non corrono un pericolo immediato di espulsione. La chiesa di Losanna con il servizio di cappellania svolge un importante lavoro di assistenza individuale nei confronti dei profughi e dei richiedenti asilo, anche attraverso le opere di diaconia. Non intende però prestarsi a possibili strumentalizzazioni e per questo chiede che la questione in corso venga trattata secondi i canali consueti».

Nel mentre il 15 settembre saranno trascorsi sei mesi dall’arrivo in Svizzera dei sei, e a partire da quella data le autorità federali non potranno più eventualmente invocare gli accordi di Dublino e i ragazzi potranno rimanere nella terra che ora li ospita, fra diffidenze ma soprattutto fra molte e varie testimonianze di solidarietà nei loro confronti.

Foto “Lausanne img 0585” by RamaOwn work. Licensed under CC BY-SA 2.0 fr via Commons.