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Partire dal riconoscimento della minoranza rom e sinti

Abbiamo incontrato l’attrice serba e attivista rom Dijana Pavlović, vicepresidente della «Federazione Rom e Sinti insieme», a cui abbiamo rivolto alcune domande.

In Italia si sta tornando sempre più a parlare del “problema nomadi”, spesso associato ad episodi di illegalità, quali sono le cause? C’è un ritorno di “odio razziale” verso i rom e i sinti?

«Noi siamo il capro espiatorio perfetto, ci difendiamo male, siamo pochi e poco organizzati. Da trent’anni una parte della nostra comunità, quella più fragile e più povera, è stata segregata nei campi nomadi, schiacciata da una parte dall’assistenzialismo e dall’affarismo, dall’altra dallo sciacallaggio politico di chi voleva guadagnare qualche voto in più. I “buoni” volevano educarci e insegnarci come si sta al mondo facendosi pagare per anni per questa opera buona, e i “cattivi” hanno fatto la loro fortuna politica su di noi impedendo a generazioni intere di crescere, diventare autonome, esprimersi e incarnare la bellezza della propria cultura. In Italia sta succedendo quello che è successo in Germania – e anche in Italia – negli anni trenta. La propaganda antizigana e le campagne di odio lasciano un segno profondo nella società italiana, nelle teste delle persone, fino ad arrivare a disumanizzare chiunque assomigli a uno “zingaro”. Qualche giorno fa alcuni ragazzi simpatizzanti della destra estrema romana hanno tentato di uccidere un muratore che assomigliava a un rom e, nel tentativo di sgozzarlo, gli hanno tagliato due dita. Nessuno si è sdegnato, i media ne hanno parlato pochissimo, non c’è stata una reazione da parte della società civile, nè una riflessione pubblica sul fatto. La conclusione amara è che la maggioranza dei cittadini italiani considera un fatto come questo non grave o addirittura normale.»

Lo scorso 11 giugno eri in piazza insieme a molti altri perché i rom e i sinti siano riconosciuti come minoranza. Concretamente cosa significa?

«In Italia ci sono 12 minoranze riconosciute. L’unica non riconosciuta è la nostra. Sono convinta che il riconoscimento sia il punto dal quale iniziare se si vuole risolvere qualcosa per il bene di tutti. Uno stato che ti riconosce in quanto appartenente ad una minoranza, non ti può più discriminare, non ti può più considerare soltanto un problema sociale o una fascia vulnerabile. Deve fare conti con la tua identità e tutelare la tua diversità, promuovere la tutela della tua cultura e pensare le politiche insieme a te e non per te.»

Superamento dei campi sosta di grandi dimensioni, tutela della salute, sostegno al conseguimento dell’obbligo scolastico e all’inserimento lavorativo: sono alcuni degli obiettivi del progetto di legge d’iniziativa della Giunta dell’Emilia Romagna per l’inclusione sociale di Rom e Sinti, che recepisce la Strategia europea per l’integrazione di queste popolazioni e che andrà a sostituire – una volta approvata in Assemblea – la precedente legge regionale (la 47 del 1988). Rispetto a questo, come si sta muovendo il governo centrale?

«Il governo da tempo latita su questi temi. In molte regioni, a differenza dell’Emilia Romagna, i tavoli regionali previsti dalla Strategia Nazionale per l’inclusione dei rom e sinti non ci sono ancora e là dove ci sono l’associazionismo rom e sinto non partecipa, nonostante nel testo della strategia ci siano disposizioni molto chiare rispetto alla partecipazione dei diretti interessati. Per non parlare del fatto che da anni non si affronta l’enorme problema dell’“apolidia di fatto” di più di 20 mila persone rom (stima di Anci). Siamo alla seconda generazione dei rom nati e cresciuti in Italia, nei campi, ma che non esistono, non sono cittadini di nessun paese e non hanno nessun documento che li identifica. Sono figli delle persone scappate dalle guerre in Kosovo o in Bosnia, mai riconosciuti come profughi (perché rom), cancellati dalle anagrafi dei loro paesi d’origine che non li riconoscono più come propri cittadini e non vengono mai riconosciuti apolidi in Italia.»

I campi rom sono spesso associati a “discariche a cielo aperto”, dove l’incuria è spesso evidente; dove roghi e rottami sono ovunque. Da qui l’invocazione alle ruspe… Qual è il tuo punto di vista?

«I Rom non hanno inventato i campi che sono stati pensati per accogliere una popolazione “diversa”, poco conciliabile con lo stile di vita prevalente e soprattutto in condizione di grande fragilità sociale. Questo ha significato affidarli all’assistenza privandoli della loro responsabilità. Chi ha progettato campi che accoglievano comunità tra loro diverse in luoghi lontani dal contesto urbano, senza servizi, ha prodotto discariche sociali di una società razzista e non è a caso che furbi, approfittatori e malavitosi vadano a sversare i loro veleni nei campi rom.»

Le inchieste e gli arresti di Mafia capitale e i campi rom. Quali le tue considerazioni?

«Ci sarebbe da scrivere un romanzo nero. Mi limito a dire che al di là dell’aspetto criminale, il meccanismo che ha portato a mafia capitale a Roma è identico in quasi tutte le città italiane: le politiche assistenzialiste ai Rom rubano il futuro e ai cittadini non rom i milioni di risorse pubbliche ingrassando legalmente o illegalmente amici degli amici.»

Il senso dell’elemosina e della giustizia nella cultura del popolo Rom – Sinti…

«Non c’è nulla di male nel chiedere la carità, un principio che non vale soltanto per i rom ma fa parte della storia del cristianesimo. Fare l’elemosina fa bene a chi la riceve ma anche a chi la fa. Invece per quanto riguarda il senso della giustizia, penso che sia una cosa che riguarda l’individuo ed è difficile attribuirlo a un popolo intero. Potrei dire per esempio che la nostra cultura non ammette la violenza contro la persona mentre è meno severa nei confronti della violenza contro le cose. Ma proprio per il fatto di aver subito troppe ingiustizie attraverso i secoli, persecuzioni inimmaginabili e un tentativo di sterminio razziale non riconosciuto da parte dello stato italiano, la sfiducia e la diffidenza nei confronti della società maggioritaria sono tali che i rom di solito non si aspettano dai gagè di essere trattati giustamente.»

Quali sono le priorità su cui intervenire per consentire la conoscenza e una maggiore integrazione dei rom – sinti?

«Il riconoscimento dell’identità culturale e la partecipazione diretta dei Rom e dei Sinti nella progettazione delle politiche che li riguardano e, dunque, la responsabilizzazione. Bisogna che l’Italia capisca che noi non siamo un problema sociale, non siamo una fascia vulnerabile, siamo un popolo di 12 milioni di cittadini in Europa, pacifico che non ha mai fatto guerre e che non ha mai avuto pretese territoriali, parliamo tutte le lingue europee e abbiamo tutte le religioni. Gunther Grass diceva che forse siamo l’unico vero popolo europeo.»

Un libro che consiglieresti ai nostri lettori per conoscere ed incontrare la cultura rom – sinti?

«Mi vengono in mente: Buttati giù zingaro” di Roger Repplinger; Zoli di Colum McCann; Rom, genti libere, di Santino Spinelli e qualche poesia di Mariella Mehr.»