enza_cuffaro

Casa di Batja, un luogo di accoglienza per mamme e bambini

Tra le attività che il Centro diaconale «La Noce» di Palermo promuove e gestisce, c’è anche la «Casa di Batja», una struttura di accoglienza per mamme e bambini accreditata presso il Comune di Palermo. La comunità opera in risposta alle esigenze sociali del territorio, in esecuzione dei provvedimenti del Tribunale per i minorenni che stabiliscono di allontanare il minore e la madre dal contesto ambientale di appartenenza e dalla famiglia di origine. Ne parliamo con Enza Cuffaro, psicoterapeuta, dal 2003 coordinatrice di Casa di Batja.

Che cos’è casa di Batja?

È una casa di accoglienza per mamme e bambini. Le destinatarie principali sono le donne, anche straniere, che vivono temporaneamente delle difficoltà, che sono prive di sostegno familiare, sociale, o in condizioni di disagio psicologico. Accogliamo anche donne vittime di maltrattamento e violenza.

In media quante donne e bambini accogliete?

Complessivamente possiamo accogliere 12 persone tra adulti e bambini. Attualmente, abbiamo 5 mamme e 6 bambini, più uno in arrivo in quanto una donna che ospitiamo è incinta all’ottavo mese. Si tratta di una donna che è arrivata dalla Libia con gli ultimi sbarchi che ci sono stati nel mese di aprile. Proprio la scorsa settimana l’abbiamo accompagnata a fare la visita ginecologica e l’ecografia: tutto sembra procedere bene. Sarà una femminuccia e la data del parto è prevista tra la fine di giugno e gli inizi di luglio.

Qual è l’obiettivo prioritario della struttura?

Innanzitutto è quello di aiutare le donne in difficoltà, provando a reinserire il nucleo madre-bambino nel contesto familiare di origine – liddove naturalmente è possibile – e anche offrendo percorsi che mirino al raggiungimento di un reinserimento sociale autonomo. Quindi, oltre ad offrire un sostegno e un accompagnamento alla genitorialità, attraverso un lavoro sulla relazione madre-bambino, proponiamo alla donna anche delle occasioni lavorative professionali in cui potersi spendere.

Alla luce della tua esperienza, puoi affermare che il reinserimento ha successo o ci sono delle difficoltà?

Un po’ l’uno e un po’ l’altro. Posso dire che la stragrande maggioranza dei nuclei che sono stati da noi, sono rientrati nel loro contesto di origine: alcune donne avevano già una condizione lavorativa stabile, l’hanno mantenuta e continuano a svolgerla. Per altri nuclei, invece, molto dipende dai quartieri di provenienza che, a volte, sono molto disagiati: una volta rientrati nel loro contesto di origine, infatti, non sempre è possibile avviare per loro delle occasioni lavorative e di formazione che possano diventare durature nel tempo. Intanto l’obiettivo dell’autonomia lo abbiamo raggiunto con la maggioranza dei nuclei.

Prima facevi accenno alla presenza di una donna proveniente dalla Libia. Qual è l’impegno di questi ultimi mesi di casa di Batja, a fronte della situazione di crisi che sta vivendo la Sicilia con l’arrivo dei profughi?

A partire dalla seconda metà di aprile abbiamo ricevuto tantissime richieste di inserimento di donne immigrate che sono state trasferite dal centro di Lampedusa a Palermo. Avendo disponibilità le abbiamo accolte. In particolare, abbiamo accolto due nuclei: uno è composto da una mamma in stato di gravidanza all’ottavo mese e da due bambini. Abbiamo saputo che il papà è presso un centro di accoglienza di Agrigento e dovrebbe a breve raggiungere il nucleo a Palermo. Poiché la signora e il piccolo di due anni, hanno riportato durante gli sbarchi delle ustioni di II grado, sono stati ricoverati al centro ustioni dell’ospedale civico di Palermo, con il quale abbiamo lavorato in stretta sinergia; dal 22 aprile il nucleo si è ricongiunto all’interno della nostra comunità.

Il secondo nucleo che ospitiamo, invece, è composto da una mamma e un bambino arrivati dal centro di Lampedusa. Lì la donna, che aveva riportato delle ustioni di III e IV grado, ha ricevuto soccorso ed è stata trasferita al civico di Palermo, dove tuttora è ricoverata in terapia intensiva, in attesa di sostenere una serie di interventi abbastanza delicati. La particolarità di questa storia è che mentre la donna è stata subito trasferita da Lampedusa a Palermo, il suo bambino di tre anni è rimasto al centro da solo per qualche settimana. Fortunatamente, un responsabile che lavora al poliambulatorio di Lampedusa ha iniziato a fare una serie di telefonate per cercare la mamma tra Catania e Palermo. Grazie ad un’assistente sociale, che sul territorio si occupa della salute degli immigrati, la donna ricoverata al civico è stata rintracciata e il bambino, nell’arco di due giorni, trasferito da Lampedusa a Palermo presso Casa di Batja: giovedì scorso si sono incontrati. La donna è ancora in terapia intensiva, ma i medici hanno voluto farli incontrare. Devo dire che è stato un incontro emozionante, molto commuovente: la signora era felice, la vista del bambino l’ha rincuorata tantissimo, l’ha rasserenata. Ha ringraziato gli operatori e ci ha affidato il suo bimbo, perché lei in questo momento non se ne può prendere cura. Il bimbo ha tre anni, è molto vispo, solare, un grande mangione di pasta! Si è ambientato abbastanza bene in comunità con tutti i volontari che, attraverso il gioco, riescono a coinvolgerlo. Devo dire che il bambino sta bene.

Allora, ci risentiremo a fine di giugno-inizi di luglio per celebrare la nuova vita che sta per nascere a casa di Batja…

Sì certamente! Quando la scorsa settimana abbiamo accompagnato la donna alla visita ginecologica anche quello è stato vissuto come un momento molto emozionante: Mirjam era molto preoccupata perché era la prima ecografia che faceva dopo quello che aveva vissuto durante il viaggio. Sentirsi dire che tutto procedeva bene, l’ha fatta sorridere, è diventata felice e ha voluto rendere partecipe della notizia subito il marito. Sì anche questo è stato un bel momento di vita.