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La dignità sgomberata

La mattina dell’11 maggio è stato smantellato un campo abusivo a Ponte Mammolo, nella periferia nord est di Roma. In roulotte, baracche e case in muratura vivevano circa 400 persone di cui 200 in modo stabile. Si trattava soprattutto di rifugiati eritrei, migranti ucraini e latinoamericani. L’azione delle ruspe è avvenuta in modo frettoloso e con poco preavviso; molte famiglie hanno perso i propri beni, impossibili da salvare. Medici per i Diritti Umani si trovava nel campo per prestare servizi sanitari con la propria clinica mobile e oggi ha inviato una lettera aperta al Sindaco Ignazio Marino invitandolo a trovare soluzioni più adatte che non sopprimano la dignità delle persone.

Il tweet di Medu

 

 

Anche l’Unhcr e la comunità di Sant’Egidio hanno espresso perplessità per le modalità dello sgombero. L’intervista a Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu.

Cosa può raccontarci dei momenti dello sgombero?

«Ieri le ruspe si sono portate via soprattutto i diritti e la dignità delle persone. Il nostro team era dentro alla baraccopoli durante lo sgombero repentino e forzoso, e siamo rimasti ad assistere un gruppo di migranti ucraini. Qui infatti, non ci sono solo rifugiati eritrei del Corno d’Africa, ma c’è una comunità interetnica, un gruppo di migranti dell’Europa dell’est, oltre a latinoamericani e persone appena arrivate dal canale di Sicilia. In particolare abbiamo assistito degli anziani, cardiopatici e in evidente crisi d’ansia, cosa comprensibile poiché avevamo le ruspe a cinque metri che non smettevano di abbattere le baracche e le forze dell’ordine intimavano loro di lasciare le abitazioni entro mezz’ora: tutto questo con la preoccupazione di dover portar i propri effetti personali, i mobili accumulati in dieci anni di vita. In quei momenti hanno vissuto una situazione da profughi di guerra, sono state scene drammatiche. Molti dei rifugiati eritrei hanno perso i loro documenti e gli effetti personali perché non hanno fatto a tempo a recuperarli. Voglio chiarire che la baraccopoli di Ponte Mammolo andava indubbiamente smantellata, era un luogo malsano, insicuro, simbolo di degrado e abbandono: ma il modo con cui è stato fatto è vergognoso, l’esatto contrario delle strategie di accoglienza che proponiamo a Marino. Ieri notte c’erano oltre 200 persone, molte appena arrivate in Italia, abbandonate a sé stesse, nel parcheggio sotto il cavalcavia della stazione metro di Ponte Mammolo. Una pagina nera per il rispetto dei diritti della persona a Roma».

Per chi non conosce la zona, qual era la fotografia del campo prima dello sgombero?

«In quel momento c’erano 400 persone. La baraccopoli è un luogo storico del degrado, si trova nella periferia a nordest di Roma, vicino al fiume Aniene e 50 anni fa circa ospitava migranti italiani e il sottoproletariato che descriveva Pasolini nei suoi film. Negli anni il passaporto delle persone che vivevano ai margini in situazioni di esclusione è cambiato, sono arrivati i migranti e da dieci anni è diventata una piccola colonia di rifugiati eritrei e di altre nazionalità. Alcune case erano delle baracche di lamiera, altre erano case in muratura: la zona ucraina, per esempio, era particolarmente curata, con fiori, piante, sempre nella penuria e precarietà in cui si può vivere in una baraccopoli».

Perché questa fretta e le poche spiegazioni parte del Comune, secondo lei?

«Noi siamo sconcertati. Il luogo in cui i funzionari del comune hanno indirizzato i profughi, è un centro di prima accoglienza, di bassa soglia, che ha al massimo 200 posti. In quel momento c’erano 400 persone, quindi già per questo non era adeguato: in più non sono stati previsti mezzi di trasporto, le indicazioni sono state confuse o contraddittorie. Ci sono stati anche dei tafferugli, una vigilessa è stata ferita. Ci dispiace per questo, ma anche i mezzi di comunicazione non stanno coprendo in maniera adeguata un episodio del genere: stiamo parlando di centinaia di persone che sono state buttate sulla strada. Parliamo di donne, bambini, alcuni hanno subito violenze estreme in Libia, migranti in fuga. Roma deve attrezzarsi per dare accoglienza a queste persone. Quello di Ponte Mammolo non è l’unico insediamento infernale che dà accoglienza ai profughi, purtroppo ve ne sono altri. Quello che chiediamo è che il Comune, la Prefettura, le istituzioni approntino delle strutture di prima accoglienza, come è stato fatto a Milano. Non è possibile che l’unica accoglienza avvenga in questo tipo di insediamenti, edifici occupati, baraccopoli fatiscenti, dove già vivono da anni i loro connazionali. Questo è un problema umanitario per Roma».

Come è possibile accogliere le persone in transito rispettando il regolamento di Dublino?

«Se ci sono dei problemi umanitari di queste dimensioni con persone estremamente vulnerabili, le istituzioni possono approntare delle strutture di bassa soglia, di primo supporto, come a Milano, dove sono state accolte oltre 40 mila persone. Ma anche a Roma, a Tor Marancia, che accoglie i profughi afghani. In contesti di questo tipo si può agire, tenendo presente che il problema riguarda il regolamento di Dublino, che è inaccettabile e che per fortuna oggi viene messo in discussione a causa dei migliaia di cadaveri nel canale di Sicilia. Si parla di quote, di ripartizione equa, anche se bisogna vedere come si agirà».

Cos’altro chiedete a Marino con la vostra lettera aperta?

«Marino è un autorevole medico e un politico che ha dimostrato attenzione per i diritti civili e umani. Ci siamo appellati a lui proprio perché intervenga nella maniera adeguata in modo che Roma si doti di strutture di prima accoglienza che siano dignitose. Purtroppo è successo l’opposto, dunque domandiamo al Sindaco a cosa servano questi sgomberi forzosi che spostano il problema e lo parcellizzano, facendo andare le persone in luoghi ancora più precari e insicuri». 

Copertina: via Medu