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Il campo minato della Libia

La Libia ha chiesto all’Onu di ritirare l’embargo sulle armi per poter combattere il terrorismo del gruppo Stato islamico. Ma la complessità libica e i diversi interessi in gioco non permettono decisioni affrettate. I quotidiani parlano del superamento dell’intervento militare in virtù di uno diplomatico internazionale, del ruolo guida che l’Italia sente di poter attuare, e delle implicazioni nei flussi migratori verso l’europa. Abbiamo commentato la situazione con il giornalista Cristiano Tinazzi.

Come commenta i titoli di oggi?

«Credo che ci sia una sorta di psicosi sulla Libia, una situazione strana che ricorda il 2011, quando ci fu l’intervento militare contro Gheddafi. Una situazione che mescola il problema dei migranti con il problema del terrorismo, fa un grande polpettone mediatico sul quale i grandi quotidiani si buttano a pesce, lasciando un analisi di pancia sugli sviluppi, invece di un’analisi più fredda. Ma l’informazione dovrebbe informare, non creare panico o allarmare».

Questo allarmismo è arrivato in modo strategico, sembra.

«Quando c’è la parola Isis, si perde la ragione. L’Italia ha avuto fino a pochi giorni fa un ruolo di mediazione importantissimo, in Libia. Siamo gli unici ad aver tenuto l’ambasciata aperta, l’unica cancelleria occidentale ancora nel paese, l’ambasciatore Buccino stava svolgendo un ruolo di mediazione tra le due parti in lotta, perché in Libia, ricordiamolo, ci sono due governi, due formazioni militari che si stanno affrontando e paesi esterni che supportano o una o l’altra fazione. Una situazione che non dura da pochi giorni, ma da tempo, ormai dal 2012. Il problema doveva essere affrontato prima, in sostegno del governo libico quando ce n’era uno, per esempio con delle missioni di addestramento come sono state fatte in Iraq, della polizia e dell’esercito. La Libia ha vissuto 42 anni con Gheddafi, come potevamo pensare di lasciarlo da solo a creare una democrazia? Si tratta di una società molto frammentata, tribale, ci sono interessi, c’è il petrolio. L’Italia ha abbandonato improvvisamente questa situazione, perché è arrivata l’Isis. Ma anche qui, alcune milizie avevano aderito al gruppo già diversi mesi fa. L’arrivo di centinaia di persone, con la drammatica uccisione dei copti a Sirte, ha creato il panico. Non sto negando che ci sia il problema Isis, ma non si può mescolare con il problema libico, che è un problema a sé e che dev’essere affrontato con la diplomazia. Altrimenti, andando con dei corpi militari, ci sarà una guerra lunghissima, con moltissimi morti».

A chi giova questa confusione?

«C’è una parte della stampa italiana che soffia sul fuoco, perché ha tutto l’interesse a creare panico nella popolazione e a mescolare il problema dell’arrivo dei migranti con l’arrivo del terrorismo. Questo è dovuto a molti fatti, tra cui l’islamofobia, l’odio verso l’altro e così via. Poi c’è il sensazionalismo, che fa parte del giornalismo, e si dà una notizia anche se non è verificata che tira fuori un racconto immaginario, come è successo negli ultimi giorni proprio per la Libia. Noi dobbiamo far sedere a un tavolo negoziale le due parti: l’Italia ha questa funzione, non cercare di buttare benzina sul fuoco».

Sarà sufficiente un ruolo di mediazione dell’Italia?

«C’è una missione Nato nel paese, anche se molti non lo sanno. Una missione che serve a cercare una pacificazione e una normalizzazione della Libia. Una missione che ha delle difficoltà, soprattutto da quando c’è stata questa spaccatura politica e militare tra Tobruch e Bengasi. Sono due realtà che sono molto composite, non ci sono gli islamisti e i laici, come si potrebbe pensare. Ci sono solo gli interessi locali e una guerra che ricorda quelle medievali, tra città alleate. Spesso questo mosaico complesso non viene spiegato bene agli italiani. Ci sono paesi come Arabia Saudita, Qatar ed Egitto che stanno supportando le parti in lotta, il ruolo dell’Europa è quello di mediare. Il problema è una spartizione del proventi petroliferi, del potere politico e della società che dev’essere fatta in maniera logica e in modo da portare aventi il paese verso una stabilità, altrimenti avremo solo il caos».

Sono spesso citate similitudini con il 2011, ne vede anche lei?

«La situazione è completamente diversa. Nel 2011 c’era una parte che è stata considerata non gradita dalle cancellerie occidentali, però allora c’erano due campi ben definiti: i supporter di Gheddafi, e dall’altra parte la rivolta di Bengasi supportata dal resto del mondo. C’era una struttura che oggi non c’è: se partisse una missione domani, con chi parliamo? Dove ci confrontiamo e su quale linea? Di chi siamo amici? Se pensiamo di andare in Libia comportandoci come nel 2011 non abbiamo capito nulla. La situazione è frammentata e complessa, che porterebbe ad un massacro senza eguali. Non ci sono le condizioni per immaginare un supporto militare». 

Si parla anche delle infiltrazioni nei flussi migratori: è plausibile?

«Si continua a mescolare il problema dei migranti, sfruttati dalle organizzazioni criminali, con il problema del terrorismo e dell’instabilità libica. Affermare che possano infiltrarsi dei terroristi sui barconi è una stupidata, che è stata smentita più volte dai nostri servizi segreti. Non è mai successo e i servizi hanno negato che possa succedere. Non è detto che non possa succedere, ma non ha nessun senso logico, formare un terrorista e poi metterlo su un barcone che non rischia di arrivare non ha senso. Quando arrivano a terra i migranti vengono identificati. Quelli che hanno fatto terrorismo in Europa in questo periodo, erano persone che avevano il passaporto, o nate in Europa, che erano radicalizzate. Si sta criminalizzando una popolazione di disperati, che oltre a tentare di venire qui, sta vivendo situazioni disperate in Libia. Sono stato in un centro di detenzione in Libia, c’erano mille persone che erano ammassate in un centro, o a casaccio per le strade, o sfruttate per lavorare negli stessi campi. Non ci sono terroristi tra di loro». 

Nelle settimane scorse sembrava ci fosse un interesse ad aumentare le partenze.

«Credo ci sia stata una volontà deliberata da parte dei trafficanti di esseri umani di creare questi disastri, da una parte perché stanno cercando di fare pressioni perché vengano ripristinate missioni come Mare Nostrum, che per loro era indirettamente un aiuto. Dall’altra parte il caos che c’è in Libia fa sì che ci siano molti gruppi criminali che pensano di inserirsi nel traffico di migranti e che non hanno esperienza, non conoscono le situazioni meteorologiche, senza alcun interesse per le persone che ormai hanno pagato il loro biglietto».

Foto via Flickr | Licenza CC BY 2.0