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Non impadroniamoci di De Andrè, ascoltiamo le sue canzoni

Quando nel gennaio 1999 morì Fabrizio De Andrè, mi venne in mente una delle sue canzoni: Se ti tagliassero a pezzetti. Così avvenne: il cantautore genovese, nato il 18 febbraio 1940, fu tirato di qua e di là dagli estimatori e dai commentatori, che ne ricordarono, a seconda delle loro (e non sue) appartenenze, lo spirito di ribellione anarchico, la religiosità eretica, l’antimilitarismo, la poesia. Certo, nell’opera di De Andrè c’era qualcosa di ognuna di queste «anime», anche se sulla presunta «religiosità» si è esagerato: Fabrizio fu sempre un non credente, con una gran simpatia per la ribellione di Gesù contro i potenti, e una grande sensibilità, coltivata sui Vangeli apocrifi, nel cogliere lo stupore di Maria per la gravidanza venuta dal cielo (La Buona novella, non per caso al centro dell’ultima sua tournée nel 1998); e in lui c’era anche la tendenza (che per qualcuno, forse, era un limite) a collaborare con i colleghi per realizzare i singoli album (De Gregori per Volume 8, Bubola per Rimini, Fossati per Anime salve) o con dei compositori e arrangiatori di gran pregio (Reverberi per La Buona novella, Piovani per Non al denaro non all’amore né al cielo e Storia di un impiegato).

Ma in realtà, realizzato con uno di loro, ogni suo album era in tutto e per tutto «suo», E qual era il segno, la marca di De André? Secondo me non sta nella musica né nella poesia, ma, come per ogni cantautore, nella voce; il cantautore è la propria voce: può accompagnarsi con la chitarra o richiedere una piccola band, o un complesso di archi, ma il tratto inconfondibile sta nell’abbinare «quelle» parole, quei versi, quelle melodie all’umanità di una confessione. La voce è la confessione dell’autore, e quella di De André spaziava dai registri acuti a quelli profondi, a seconda che cantasse l’amore o inventasse la preghiera di uno degli «ultimi»… È questo l’elemento che, a monte, unifica la sua produzione artistica, fatta di diverse ispirazioni in epoche diverse: ascoltiamo quella voce, che ancora ci parla, e ci racconta di una umanità ferita, e che scopre in se stessa la poesia necessaria per tirare avanti.