rogo di libri

La parola non può bruciare

«Un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Rendiamo inutile l’arma. Castriamo la mente dell’uomo». Ray Bradbury nel romanzo Fahrenheit 451 (451 è la temperatura a cui brucia la carta) immagina una società in cui leggere un libro è un reato (scrive a pochi anni dalla fine del nazismo ed in pieno maccartismo, la caccia alle streghe contro l’ipotetico pericolo comunista all’interno dei confini statunitensi), trasformando in finzione una tragica realtà cui ciclicamente ci tocca assistere.

L’uomo brucia i libri da sempre. Quando ha paura del loro contenuto, quando non ha armi dialettiche per rispondere a ciò che vi è stampato, quando crede in questa maniera di tacitare una voce, un’idea, una fiammella di umanità. Bruciare libri come un abisso, quando l’arma della parola viene silenziata dalla fobia del diverso, del confronto.

A Mosul, città di oltre due milioni nel nord dell’Iraq, i miliziani dell’Is, lo stato islamico che sta tentando di mantenere il controllo della regione, hanno preso d’assalto la biblioteca centrale della città, insieme ad altre di più modesta dimensione, e a varie librerie. Lo scopo? Cercare qualsiasi libro non prettamente islamico e darlo alle fiamme, per cancellarne le idee e offenderne la memoria. Migliaia sono i volumi bruciati, arrestati i bibliotecari, perduti volumi antichissimi. Un altro danno incalcolabile per la memoria del nostro pianeta.

Si perché Mosul è anche Ninive, l’antichissima città sorta sulle rive del Tigri, già capitale assira, fondata almeno 4750 anni prima di Cristo, uno dei più importanti siti archeologici iracheni e protagonista di vari episodi biblici, sia nell’Antico (Giona, Genesi, Re, Daniele) che nel Nuovo Testamento (Matteo e Luca): una città violenta, il cui popolo è condannato da Dio alla distruzione: ma la cui pronta comprensione del rischio sortisce un risultato inatteso portando tutti sulla retta via (Giona 3: 5-7) e facendo si che il giudizio di Dio venga sospeso. Fra gli evangelisti invece i niniviti diventano giudici, proprio perché pentiti a seguito del messaggio di Giona, e quindi in grado ora di dare una valutazione sulla generazione di Gesù nei giorni del giudizio. Nei giorni scorsi le mura dell’antichissima Ninive sono state distrutte sempre dai jihaidisti, dopo esser rimaste in piedi davanti ai secoli che nel frattempo si facevano millenni.

Bruciare libri per paura del confronto, nella folle pretesa di esser portatori dell’unica parola degna di valore. Dal vescovo di Alessandria Atanasio che nel 367 brucia gli scritti a suo avviso non canonici e ci lascia in eredità l’attuale Nuovo Testamento, epurato dagli apocrifi (come il vangelo di Giuda recentemente ritrovato, che getta uno sguardo nuovo sulla storia degli anni di Gesù), al rogo della biblioteca della stessa Alessandria ordinato dagli arabi nel 642; dal falò delle vanità promosso da Savonarola, al rogo dei manoscritti maya e aztechi degli inquisitori; fino al secolo nostro dove anche le immagini ci vengono in aiuto per ricordare le fiamme nelle piazze tedesche negli anni del delirio nazista, quelle nelle strade di Santiago dopo il colpo di stato di Pinochet, o lungo le avenidas di Buenos Aires quando al potere salgono i generali dell’esercito.

L’ultima follia dei fondamentalisti islamici ferisce l’umanità intera, ma proprio la storia ci insegna che atti simili non hanno speranza di vittoria. Perché dal fondo di una caverna o da sotto strati di roccia sedimentata salterà sempre fuori una copia nascosta, una pagina strappata alla pazzia, e la memoria si perpetuerà, condannando nel tempo all’oblio ogni pretesa oscurantista.

«Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive». (Fahrenheit 451).

Foto: “Rogo di un libro“, di Patrick Correia da Northampton, MA, United States, con licenza CC BY 2.0, via Wikimedia Commons