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Acque morte

Il Mare Mediterraneo è la strada più mortale del mondo: così l’ha definita l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati. Da gennaio sono 207mila i migranti che hanno tentato la traversata verso l’Europa e almeno 3.419 i morti in mare. Si tratta dell’80% del totale delle vittime stimate dall’Unhcr. Un numero quasi tre volte superiore al precedente rapporto del 2011, quando 70.000 migranti erano fuggiti dai loro paesi durante la primavera araba. Un record negativo che deve interrogare i governi sulle misure messe in atto per intervenire su un fenomeno in contante crescita e per sua natura «multidimensionale e transnazionale, che spesso implica percorsi che si estendono per più confini e lungo migliaia di chilometri», come è stato definito dall’Alto Commissario per i rifugiati Antonio Guterres, che ha commentato i dati con un giudizio netto: «i governi non si stanno dimostrando né in grado di arginare il fenomeno né di porre fine alla tragica morte di numerose persone lungo il percorso».

Un quadro allarmante, quello del fenomeno migratorio, che sta cambiando velocemente e trova un’Europa strutturalmente impreparata ad affrontarlo: «Si aprono contraddizioni enormi», commenta Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope, l’osservatorio sulle migrazione della Fcei. «Da un lato abbiamo il diffondersi delle guerre in medioriente, dall’Afghanistan alla Siria e all’Iraq, e persino la crisi di Gaza, che per la prima volta ha portato i palestinesi a rischiare la morte in mare; per non parlare del Sud Sudan, della guerra civile in Libia, dei problemi in Nigeria con Boko Haram, della dittatura in Eritrea e delle conseguenti tensioni con la Somalia, e infine il pericolo diffuso dell’Isis. Le persone scappano per salvarsi la vita e dunque, se guardiamo i flussi, sono in aumento i profughi rispetto ai migranti economici, che invece, secondo gli ultimi dati Istat, sono in diminuzione».

E’ evidente che chi scappa da una situazione di guerra ha diritto di chiedere asilo e la protezione per motivi umanitari, ma l’Europa non è pronta ad accogliere un numero così elevato di rifugiati: «ci aspettavamo flussi di persone che venivano per lavorare e costituire di fatto un esercito di riserva a basso costo, lavoro nero compreso, e ora siamo di fronte a uomini e donne, perlopiù poveri, che chiedono assistenza. Quindi l’Europa, costruita su un sistema giuridico basato sui diritti umani, di fatto sta rinnegando le sue stesse premesse, respingendo chi fugge da guerre che – tra l’altro – in buona parte ha contribuito a fomentare».

«I dati che abbiamo di fronte sono molto crudi, anche se a molti sembra soltanto una statistica di guerre lontane», reagisce Roberto Zaccaria, presidente del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati. «Credo purtroppo che il censimento delle morti in mare, sempre difficile da fare, sia anche più grave di quello che viene riportato dall’Unhcr, e i numeri non potranno che peggiorare». «E’ fondamentale interrogarsi sulle misure messe in campo per fronteggiare il dramma delle morti in mare ma la sensazione è che prevalga l’egoismo degli Stati europei – aggiunge Zaccaria – l’archiviazione di Mare Nostrum fa male, prevale la tutela delle frontiere rispetto al salvataggio delle vite umane». Gli strumenti per assistere chi cerca aiuto sono inadeguati e i dati sul reinsediamento dei migranti si attestano su percentuali molto modeste, intorno al 5% dei richiedenti. Permane poi il problema dei campi profughi nelle zone di guerra o nei paesi adiacenti: solo in Libano il 40% della popolazione è costituito da rifugiati, una situazione che chiaramente non può – non dovrebbe – diventare cronica.

«L’Europa deve assumere come dato di fatto che la migrazione delle persone è una questione strutturale dell’era contemporanea e non si può affrontare con misure di emergenza – aggiunge Zaccaria – purtroppo non stiamo andando in questa direzione perché prevalgono ancora le politiche nazionali. Nell’Unione europea ci sono 500mila rifugiati ma se guardiamo ai paesi che effettivamente li ospitano, sono soltanto una decina, segno che prevale la chiusura. A questo si aggiunge che i migranti tendono a non andare in paesi dove le condizioni di accoglienza sono molto scadenti, come la Grecia». Arrivare in un paese, poi, non significa fermarsi: in Italia, per esempio, il numero di sbarchi è calcolato intorno ai 200mila ma le domande di asilo sono soltanto 40mila. Unica nota positiva, secondo Zaccaria, è la comunità internazionale, che negli ultimi anni sembra essersi sensibilizzata sul tema. Un segnale nuovo, nella speranza che dal basso si possa fare pressione perché la politica finalmente si muova.

Foto via Flickr