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India, la violenza del controllo demografico

La morte di tredici donne per setticemia durante una campagna governativa di sterilizzazioni di massa per il controllo demografico nel Chhattisgarh, stato molto povero nell’India centrale, ha provocato reazioni stupite e allarmate in tutto il mondo.

Eppure questa pratica, racconta la presidente di UN Women Italia, Simone Andrea Ovart, «esiste da tanto tempo. […] Diciamo che si è cominciato quarant’anni fa, quando si sterilizzavano le donne con metodi più tradizionali». Negli anni Settanta, infatti, il primo ministro Indira Gandhi aveva imposto la sterilizzazione a tappeto delle classi più povere con l’istituzione di leggi di emergenza che, secondo stime realizzate da alcune Ong negli ultimi mesi, hanno coinvolto oltre quattro milioni di persone. Bisogna pensare inoltre che circa il 90% di queste sono donne, che, costrette in una società con una visione fortemente patriarcale della famiglia, non hanno altra scelta se non quella di adeguarsi, visto anche che la sterilizzazione maschile rimane un tabù insuperabile.

Il problema demografico indiano è noto: entro il 2030 il paese raggiungerà il miliardo e mezzo di abitanti, superando la Cina e diventando la nazione più popolosa del mondo, dimostrando quindi l’inefficacia di tutti gli strumenti messi in campo finora per contrastare il tasso di crescita, sceso in modo davvero marginale negli ultimi 40 anni, dal 2,3% degli anni Settanta all’1,6% attuale.

Ma al di là dei numeri, il nodo è allo stesso tempo politico, economico e culturale.

Politico, innanzitutto, perché, come dice ancora Ovart, «non si è mai fatto niente per fermare queste pratiche, decise a livello di governo nazionale, e le Nazioni Unite non possono intervenire in certe decisioni. […] Le Nazioni Unite possono condannare la pratica, ma sicuramente non impedire quanto deciso dal governo indiano». Quest’assenza di giurisdizione da parte dell’Onu si lega ad una seria difficoltà nel raccogliere informazioni su casi come questo, che ha ottenuto ampia visibilità solo a causa della sua anomala dimensione. Si parla spesso delle violazioni dei diritti delle donne in Africa, ma secondo UN Women «si dovrebbe parlare molto di più dell’Asia. Mentre in Africa ci sono molte associazioni presenti che denunciano ciò che succede, in Asia è tutto più nascosto, e anche le persone non ne parlano, mentre in Africa la gente è più disponibile a denunciare certi fatti».

Cultura ed economia, i due percorsi che potrebbero portare ad un superamento di simili metodi, rappresentano invece nello scenario indiano gli ostacoli che nessuna pressione internazionale riesce a superare. L’alternativa alla sterilizzazione chirurgica, infatti, esiste, ed è costituita da due poli: l’educazione e l’accesso a logiche di pianificazione famigliare più eque, per dare alla donna maggior voce in capitolo, e l’uso di metodi contraccettivi come la pillola, che potrebbero salvare molte vite ed hanno effetti non definitivi, garantendo quindi vantaggi anche psicologici e sociali.

Tuttavia, finché sarà più economico pagare un chirurgo anziché una pillola, e finché all’uomo sarà riconosciuto un potere quasi assoluto in famiglia in tema di procreazione e non solo, anche i contraccettivi rimarranno fuori dalla porta e dagli ambulatori.

Guardare soltanto all’India e ai paesi asiatici e africani sarebbe però ipocrita: anche in Europa c’è bisogno di compiere molti passi in direzione di una piena affermazione dei diritti di genere. Dal 3 al 5 novembre 2014 si è infatti svolto a Ginevra il forum delle Ong per la revisione regionale della Dichiarazione di Pechino sulla parità di genere, a 20 anni di distanza da quello storico accordo. «Dal 1995 – secondo Simone Ovart – su alcuni punti non solo non siamo andati avanti, ma addirittura indietro». La crisi economica che ha investito a partire dal 2008 i paesi più benestanti al mondo ha rimesso in discussione alcuni diritti che venivano dati per acquisiti, soprattutto nei paesi del Mediterraneo. Stiamo però parlando di territori in cui la crescita demografica non rappresenta un problema da molti anni, pur in assenza di rigide regole sulla pianificazione famigliare.

«Limitare per legge la procreazione è una pessima idea – si legge infatti in una nota delle Nazioni Unite – Il miglior contraccettivo possibile è un cocktail di cultura e sviluppo».