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Gli 80 euro e il bonus bebè alla prova del welfare

Il Job Act, il piano di riforme del Governo Renzi su lavoro, welfare, ammortizzatori sociali, pensioni e turnover è stato approvato nelle sue linee generali l’8 ottobre al Senato, ma continua a far discutere e a scaldare gli animi dei sindacati. Nel piano licenziamenti più facili e criteri più stringenti per l’accesso alla cassa integrazione, nuovi ammortizzatori sociali per i dipendenti precari e sostegni alla maternità. Ma qual è il costo della “modernizzazione” del mercato del lavoro italiano? I titoli di oggi parlano di questo e della manifestazione del 25 ottobre indetta dalla Cgil. Li abbiamo commentati con il giornalista Antonio Sciotto.

Come leggiamo i titoli di oggi sul Job Act e sul lavoro?

«Ci sono due grossi problemi legati al Job Act: prima di tutto il licenziamento che lascia scoperto il lavoratore. Con la proposta del nuovo articolo 18 sarà quasi impossibile dimostrare un’ingiusta causa di licenziamento perché si parlerà solo di licenziamenti di carattere discriminatorio, che sono già tutelati dalle regole europee. Il disciplinare sarà ancora più complicato rispetto alla riforma Fornero così come andare a dimostrare la fattibilità di un reintegro, lasciando dunque il licenziamento libero. Il secondo problema è l’aspetto delle coperture: con il miliardo e mezzo di ammortizzatori sociali investito si coprono poche centinaia di migliaia di lavoratori, come ha anche detto Cesare Damiano, presidente della commissione lavoro della camera. Due grossi problemi aperti e non risolti, nonostante il passaggio della legge in Senato».

Le coperture sono dunque una delle maggiori preoccupazioni?

«Si, a parte le coperture basse per gli ammortizzatori sociali, ci sono alcune voci della legge di stabilità che non hanno una copertura chiarissima, che probabilmente la Commissione europea segnalerà al Governo, come mettevano in evidenza ieri le associazioni dei consumatori. Oltre a tutto questo ricordiamo che 11 miliardi vengono dall’innalzamento del deficit del paese: quelli ci sono, in base alla flessibilità europea».

Cosa c’è di concreto nelle promesse del Governo degli ultimi giorni?

«Basare gli 800mila posti di lavoro [annunciati da Padoan ndr] sugli sgravi è un po’ arduo. Se non si fanno degli investimenti, non basteranno. Se le imprese non hanno ordini, se non si rilancia la domanda di prodotti e di merci, non si vede perché dovrebbero assumere. Lo scetticismo su questo punto c’è. Il bonus bebè è sicuramente positivo, ed è un pilastro del welfare in tutti i paesi europei, ma su altri fronti siamo scoperti: asili nido, servizi o tutele. Gli 80 euro in più possono servire, ma se poi aumentano le tasse locali e i servizi sono pochi le famiglie hanno guadagnato ben poco. Occorre rinforzare da più parti il welfare. La questione degli asili nido non è marginale, permetterebbe a più donne di andare a lavorare, invece di restare a casa con 80 euro in più».

Quindi si tratta di scelte che vanno nella direzione sbagliata?

«Renzi è bravo nella comunicazione e ha eroso tanti consensi ai sindacati e anche a Beppe Grillo. Detto questo la manovra rischia di essere un boomerang e non farci uscire dalla recessione. Non ci sono investimenti nella politica industriale, non c’è un rilancio della domanda, si spera vagamente che gli 80 euro e il Tfr in busta paga rilancino i consumi».

C’entra con l’abitudine di intendere lo sviluppo come la crescita e il consumo a tutti i costi?

«In parte, e alcuni accenni ci sono nello Sblocca Italia: per esempio si autorizzano le trivellazioni libere nel mare, le ricerche petrolifere, in tanti territori già disastrati. È un impulso allo sviluppo, ma rischia di essere dissennato. Occorre che i cittadini stiano attenti a cosa c’è in questo Sblocca Italia, molte regioni potrebbero essere minacciate ancor di più a livello ambientale».

La manifestazione del 25 ottobre della Cgil è davvero la prima grande protesta del sindacato contro il Governo…

«Sicuramente questa manifestazione ha un grande valore come mobilitazione, sopratutto per quella parte di lavoratori messi all’angolo dalla campagna di comunicazione di Renzi. Forse organizzare una piazza e darsi un po’ di coraggio reciproco, probabilmente servirà a quel versante sindacale. Versante che è in grande difficoltà, anche perché il premier lo delegittima continuamente, così come fanno Grillo e il centro destra. Il sindacato è sempre più isolato e ha la necessità di mettere maggiormente il discorso politico dentro le proprie rivendicazioni. La Cgil solitamente è attentissima a dire che non è contro il Governo: in queste settimane invece ha sottolineato che la manifestazione è il primo passo contro Renzi. Se anche i mass media non si opporranno, forse il sindacato riuscirà ad uscire da questo isolamento».

Foto via Flickr