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Violenza anticristiana in Niger

In molti paesi del mondo ci sono state proteste contro la rappresentazione di Maometto sulle pagine di Charlie Hebdo, che ha avuto una maggiore eco rispetto al solito, dopo i tragici fatti di Parigi. Ci sono state manifestazioni in diverse parti del mondo, e in Niger più di 40 chiese cristiane sono state saccheggiate e incendiate. Abbiamo commentato questi fatti con Donaltella Rostagno, segretaria esecutiva della Rete europea per l’Africa Centrale (EurAC).

 

Come reagisce a queste notizie?

«Questi eventi sollevano in me molte più domande che risposte: la prima è perché questa esplosione di violenza proprio adesso? I fatti di Parigi nella redazione di Charlie Hebdo in questo momento sembrano un pretesto per quello che sta succedendo in questi paesi. Il settimanale pubblica da tanti anni, e forse non è nemmeno tanto conosciuto dal grande pubblico, e il massacro della redazione può essere utilizzato come pretesto per esprimere tutta una serie di disagi e di contrasti politici che esistono in molti paesi da tantissimi anni. Pur non essendo un’esperta di Niger, mi sembra che sia uno di quei paesi che ha grandi problemi di povertà, politici, di instabilità, e la popolazione vive in uno spazio di libertà di espressione ristretto: tutte queste questioni possono rimotivare una certa violenza spesso inespressa nel paese, che può essere strumentalizzata da alcuni ».

La questione politica, di rifiuto del postcolonialismo francese è dunque plausibile?

«Certo, e non è un problema della Francia, ma del Belgio, della Gran Bretagna, in parte della Germania, perché sono paesi che continuano a dominare dal punto di vista socioeconomico alcune delle ex colonie. Il discorso è attuale, queste manifestazioni sono più un intrecciarsi di un malessere sociale con una questione religiosa che non riesce a essere gestita nella maniera adeguata nel paese. In molti di questi paesi si dà ancora la responsabilità, probabilmente a giusto titolo, alla colonizzazione e a tutto ciò che è venuto dopo, con la povertà e la mancanza di opportunità per i giovani».

La violenza, però c’è stata soprattutto contro le chiese cristiane.

«In questi paesi le tensioni tra gruppi etnici o religiosi ci sono da tantissimo tempo. Quando un presidente è eletto, per esempio, si sa subito la sua confessione, una parte della popolazione si sente più rappresentata, un’altra meno, e così via. Anche qui le violenze sono l’espressione di un disagio, la cosa più facile è trovare dei nemici, che possono essere le altre confessioni o gli altri gruppi etnici: la motivazione dunque è da ricercare anche al di là delle questioni religiose. Nei paesi con un basso dialogo tra le forze politiche è più difficile progredire nello sviluppo socioeconomico del paese».