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Trump, atto finale: l’esecuzione di Lisa Montgomery

Con un’iniezione letale è stata uccisa (esecuzione federale) Lisa Montgomery, la prima donna a essere messa a morte in 70 anni. L’ha comunicato solo due giorni fa il Dipartimento di Giustizia Usa.

L’esecuzione era stata sospesa martedì 12 gennaio per consentire una perizia psichiatrica sulla donna: una speranza resasi poi vana per tutti coloro che hanno a cuore i diritti umani e sono contrari alle esecuzioni capitali.

Invece, Lisa (l’unica donna a essere detenuta nel braccio della morte federale), ha ricevuto l’iniezione letale il 13 mattina nel carcere di Terre Haute dell’Indiana.

Era stata condannata per aver commesso un efferato delitto nel 2004, nello stato del Missouri.

Uccise una donna incinta di ventitré anni, Bobbie Jo Stinnett questo era il suo nome, alla quale aveva estratto (con un coltello) il feto dalla pancia e poi lo aveva portato via come se fosse stato il suo, lasciando morire la ragazza a terra e dissanguata. Lisa era stata, sin da bambina, oggetto di abusi in famiglia e ritenuta gravemente malata di mente.

Per questo, la sua esecuzione fa ancor più discutere.

Le morti per iniezione letale avvengono con la somministrazione di diverse sostanze: la prima è il Midazolan, che serve per ridurre la consapevolezza del condannato su quanto stia accadendo; la seconda è il Vecuronio Brumuro, che ha la funzione di rilassare e bloccare l’attività muscolare, come il diaframma, fermando la respirazione; la terza, infine, è il Cloruro di Potassio, che paralizza totalmente il movimento cardiaco.

Una morte disumana.

I condannati, spesso, muoiono dopo la seconda iniezione. Se ciò non accade, tra la seconda e la terza iniezione seppur paralizzati e senza mostrare segni di sofferenza  medici esperti affermano che in realtà i condannati a morte avvertano forti dolori in tutto il corpo.

Negli Stati Uniti la pena capitale è presente per legge, oggi, in 29 Stati su 50.

A livello federale la pena di morte è stata ripristinata dall’amministrazione Trump il 25 luglio 2019, interrompendo così una moratoria che durava da 16 anni.

Dopo lo stop alla moratoria imposta da Trump il ricorso degli avvocati della donna in carcere e condannata a morte si era concentrato sull’aspetto psicologico, un ricorso accolto da un giudice dell’Indiana, il quale aveva chiesto una nuova perizia psichiatrica che evidentemente non è stato sufficiente per far sospendere la condanna.

Nel 2020 sono state eseguite 12 sentenze: sette i diversi Stati americani e cinque su ordine diretto del governo centrale.

Tuttavia, negli Stati Uniti c’è la tendenza a rallentare le condanne a morte (sette, infatti, è stato il numero più basso da 37 anni a questa parte), mentre le cinque predisposte dall’amministrazione Trump, rappresentano in percentuale il numero più alto dal 1976 a oggi.

Trump e la sua amministrazione non hanno mai fatto mistero su quanto, a loro avviso, la pena di morte sia un ottimo deterrente contro i crimini.

La storia però (e così le statistiche recenti) insegna che la pena capitale non ha alcun effetto deterrente contro i reati gravi. Basta guardare l’esempio di nazioni quali la Cina o l’Iran, che «vantano» il maggior numero di esecuzioni capitali.

Secondo il Rapporto annuale del Death Penalty Information Center (Dpic) nel 2020 Trump ha giustiziato più carcerati di quanto abbiano fatto tutti gli stati d’America messi insieme, dove ancora è prevista l’esecuzione capitale.

Dunque è strano che «la folle ondata di esecuzioni» come l’ha definita il The Guardian sia in opposizione alla pratica della pena capitale nei vari stati federali americani.

Sempre secondo il rapporto di Dpic, consultabile sul loro sito https://deathpenaltyinfo.org/ , il Covid 19 non ha influito sul numero di esecuzioni.

L’iniziale diffidenza da parte di Trump nel considerare il Coronavirus come una pandemia reale e da contrastare ha permesso che si potesse proseguire «normalmente» con le esecuzioni già programmate.

Persino nel Federal Correctional Complex di Terre Haute, in Indiana, si sarebbero infettati almeno 9 membri delle squadre di esecuzione.

Di certo, quest’ultimo atto del presidente Trump, prima di lasciare definitivamente la scena, farà aumentare il consenso nei confronti del nuovo Presidente Joe Biden, il quale ha già assicurato di voler bloccare le esecuzioni federali e di voler sollecitare gli Stati a fare altrettanto; andando anche contro un eventuale «No» del Congresso.

Inoltre, il neo Presidente, potrà utilizzare la grazia per commutare in ergastolo le pene dei condannati alla pena capitale.

Il clima nei confronti della pena di morte negli Stati Uniti sta cambiando, fortunatamente, un sondaggio ha dimostrato che il 60% degli americani sarebbe favorevole a sostituire la pena capitale con l’ergastolo.