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Polizia francese a processo per irregolarità al confine con l’Italia

Di fronte al presidente della corte, Isabelle Defarge, i due imputati tengono le mani incrociate davanti a loro, senza muoversi. Dietro, seduto sulla panca delle parti civili, il giovane Moussa (nome di fantasia) che compirà 18 anni tra qualche giorno. Di nazionalità maliana, il ragazzo continua il suo apprendistato in una scuola superiore della Drôme. Si è svolto giovedì 2 luglio il processo a due agenti di polizia di frontiera (Paf) di stanza a Montgenèvre (Hautes-Alpes), uno dei principali punti di passaggio per i migranti tra Italia e Francia.

Il primo imputato, un 51enne – ora in congedo per malattia – è perseguito per violenza contro il giovane Moussa nell’agosto 2018. È accusato di «violenza intenzionale» commessa da un responsabile autorità pubblica. Il secondo imputato, un Assistente alla sicurezza dal 2014 al 2020 per «falso amministrativo» e «sottrazione fraudolenta di fondi pubblici».

Dall’inizio dell’udienza, il presidente del tribunale ha elencato una serie di furti commessi ai danni delle persone migranti presumibilmente «commessi da agenti di servizio» da novembre 2017, citando un rapporto della direzione dipartimentale della polizia di frontiera (Ddpaf) del dipartimento delle Hautes -Alpes. Ogni volta, i migranti hanno menzionato il furto di denaro (diverse centinaia di euro ogni occasione) e la violenza commessa contro di loro. «L’indagine giudiziaria non ha permesso di stabilire né la realtà delle denunce né l’identificazione dei possibili autori» ha affermato prima dell’avvio del processo, il pubblico ministero di Gap, Florent Crouhy.

E’ durante la notte dal 4 al 5 agosto 2018 intorno a mezzanotte che Moussa tenta di attraversare, con altri migranti, il confine franco-italiano a Montgenèvre. Arrestato dai gendarmi, il ragazzo, che si trova in una situazione irregolare sul territorio, è oggetto di una procedura di “non ammissione”, vale a dire che viene riportato alla frontiera da diversi funzionari, tra cui l’accusato. Successivamente, Moussa si rimette in cammino verso la Francia e sulla strada incrocia un veicolo di polizia in cui si trova l’agente di polizia sotto processo.

«È tornato perché ha detto che gli mancava il portafoglio», il poliziotto ha raccontato nella sua deposizione. «Questo è un discorso che abbiamo sentito molto spesso». Il tribunale ha quindi trasmesso una cassetta audio registrata all’epoca dallo stesso Moussa. «Mi mancano 600 euro e al mio amico 200 euro, la polizia ha preso i miei soldi», si è potuto sentire dal nastro. «I soldi erano nel mio zaino che era nel bagagliaio della macchina della polizia», ​​ha detto al processo.

«Sono stato afferrato per il colletto, sono stato preso a pugni nello stomaco e preso a calci», ha detto Moussa, senza essere in grado di identificare il suo aggressore.

L’ex assistente amministrativo – ora imprenditore – è sospettato invece di aver trattenuto 90 euro in contanti, dopo aver annullato l’importo di una sanzione redatta durante un controllo su strada il 7 gennaio 2019 a un conducente italiano. «Ho dimenticato di restituire i 90 euro, sono rimasti nei miei pantaloni e la macchina è ripartita» ha detto in tribunale. Quest’ultimo ammette di aver falsificato il registro per coprire una mancanza di attenzione. A questo episodio si sommano vari e sospetti versamenti di provenienza sospetta che l’uomo ha effettuato sul proprio conto corrente in questi anni. I casi sospetti riguardano la presenza contemporanea dei due imputati in servizio al posto di confine.

Il pubblico ministero, Florent Crouhy in relazione alla violenza subita dal giovane Moussa ha commentato: «ci sono parole e gesti che sono violenti e riflettono il desiderio di ferire», Il procuratore ha chiesto 18 mesi con sospensione della pena detentiva contro l’ex assistente di sicurezza, e 24 mesi con stessa formula di sospensione detentiva per il poliziotto.

La corte delibererà il 30 luglio.

Lo svolgimento di questo processo è stato dunque reso possibile grazie a una schiacciante registrazione audio … e alle notizie di violazioni dei diritti di confine che Tous Migrants e altre associazioni instancabilmente trasmettono alla giustizia.

«Questo è un processo per pratiche che sappiamo avvenire con regolarità», ha dichiarato Vincent Brengarth, avvocato per la vittima e per Tous Migrants, parte civile nel processo. Il dossier rivela che non si tratta di fatti isolati. È essenziale che la giustizia possa ripristinare i diritti di coloro che dobbiamo proteggere».

«Ciò che è importante in questo processo- proseguono i rappresentanti delle associazioni umanitarie – è il riconoscimento da parte dei tribunali che:

– cose illegali e violente stanno accadendo alla polizia di frontiera,

– che le parole delle persone migranti devono essere prese in considerazione».

Questa è la prima volta che simili fatti, che le associazioni denunciano da anni, sono stati portati davanti a un tribunale. Questo processo rappresenta quindi un progresso importante che è anche il frutto del lavoro a lungo termine che esse stanno svolgendo a vari livelli.

L’indagine giudiziaria ha permesso di dimostrare l’estensione del fenomeno identificando un insieme di indici riguardanti la ricorrenza dei reclami da parte degli esiliati, ma rimangono aree grigie sulla circostanza dei furti menzionati durante i dibattiti e sulla conoscenza che i più alti gradi potrebbero averne.