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Persecuzioni religiose in Cina

Oltre 1.500 chiese, nel corso degli ultimi due anni, hanno subito atti di distruzione nella provincia orientale di Zhejiang. I rapporti tra i gruppi religiosi e il Partito comunista non sono mai stati così tesi dai tempi di Mao. Nei monasteri tibetani i religiosi denunciano un’ingerenza del Partito nei loro affari interni sempre più all’ordine del giorno. Nella provincia occidentale di Xinjiang è stato introdotto il divieto di indossare vestiti e simboli religiosi.

«Le autorità hanno perso il cuore del popolo a seguito della campagna di distruzione delle croci», rileva un’ex giornalista cattolica che abita nello Zhejiang e che preferisce restare anonima.

Molti pensano che gli sforzi che da qualche anno il governo provinciale compie per eliminare i simboli ritenuti troppo ostentati del cristianesimo abbiano provocato l’effetto indesiderato di rafforzare la determinazione dei cristiani e l’interesse nei confronti di questa religione. Églises d’Asie (EdA), l’agenzia di stampa della Società per le missioni estere di Parigi, segnalava in ogni caso a fine dicembre che il protestantesimo in Cina stava conoscendo un notevole sviluppo, anche se difficile da quantificare.

La campagna «ha aiutato il clero a unirsi e a battersi per i propri diritti», afferma John, catechista a Wenzhou, una delle città principali dello Zhejiang. Mentre intorno alla metà dello scorso anno la campagna contro le croci si intensificava, alcuni vescovi, con un gesto alquanto raro, hanno denunciato pubblicamente le autorità.

Anche se la campagna di distruzione delle croci ha registrato una flessione, da qualche settimana i cristiani locali sono sempre più confrontati con l’ingerenza delle autorità persino dentro le chiese. A Wenzhou i cristiani riferiscono che quadri del Partito partecipano alle funzioni domenicali allo scopo di mettere a tacere le voci critiche. In altre località dello Zhejiang le autorità hanno affisso manifesti di propaganda dentro gli edifici. Queste azioni si inserirebbero nel quadro di una nuova campagna ufficiale denominata: «Cinque entrate e trasformazioni» che ha lo scopo di “sinizzare” le chiese al fine di sottrarle alle influenze straniere. Questa volontà di “sinizzazione” delle religioni è stata espressa lo scorso maggio dal presidente Xi Jinping in persona nell’ambito di un discorso ufficiale.

Stando a Ucanews alcuni osservatori stimano il numero di cristiani in Cina a oltre 100 milioni, in grandissima parte protestanti. Il Partito comunista tenterebbe così di strumentalizzare ai propri fini questo sviluppo cristiano. Tuttavia non si sa veramente se questa politica provenga dallo zoccolo duro del Partito e se sia destinata a perdurare, commenta Fenggang Yang, direttore del Centro sulla religione e la società cinese presso la Purdue University, nell’Indiana, nel centro degli Stati Uniti.

Alcuni funzionari di alto rango sembrano essere in disaccordo con l’idea secondo la quale il cristianesimo dovrebbe essere adattato alla Cina, assicura il ricercatore. E non vedremo una linea politica chiara prima di un incontro ufficiale sulla questione della religione condotto dal presidente Jinping.

Fenggang Yang spiega che i numerosi rinvii di questa conferenza sono il segno dell’insoddisfazione del presidente nei confronti del lavoro e della direzione degli affari religiosi. Sarebbero inoltre indice di un’impasse nei dibattiti interni relativi a questo tema.

Fonte: Voce Evangelica

Foto: http://www.voceevangelica.ch/